martedì 5 marzo 2024

 

INDICAZIONI TECNICHE E METODOLOGICHE ELABORATE DAI TECNICI FEDERALI DEL SETTORE FEMMINILE

Direttive tecniche di orientamento dei processi didattici di formazione e di aggiornamento tecnico degli allenatori di pallavolo

A cura della Fipav Area Tecnica e Settore Squadre Nazionali


Sintesi dei lavori da parte dei tecnici federali del settore giovanile

- Marco Mencarelli 

- Davide Mazzanti

- Luca Pieragnoli

- Marco Paglialunga




Ambiti di intervento

- indicazioni tecniche del settore femminile per la formazione degli allenatori

- indicazioni metodologiche per lo sviluppo del sistema di allenamento nella     pallavolo femminile giovanile e nelle fasce di qualificazione bassa intermedia

- indicazioni metodologiche per l’interpretazione dei modelli di prestazione tecnica-tattica della pallavolo femminile



PARTE GENERALE 

Generalità sugli aspetti metodologici determinanti del processo di allenamento

L’obiettivo programmatico del processo di allenamento (ossia, gli obiettivi che e necessario perseguire attraverso il processo di allenamento). È l’evoluzione qualitativa della capacità di gioco, ossia attraverso l’apprendimento e di perfezionamento esecutivo delle tecniche, che attraverso uno sviluppo dei fondamentali di gioco, in un sistema di allenamento adeguato per la pallavolo

domenica 3 marzo 2024

 

L’ALLENAMENTO DELLA RICEZIONE DEL SERVIZIO


NON È L’ESERCIZIO SCELTO A DETERMINARE UNA DIDATTICA EFFICACE MA BENSI LE INDICAZIONI FORNITE DALL’ALLENATORE 
NELLA CONDUZIONE E GESTIONE DEL LAVORO




Marco Mencarelli Direttore tecnico settore giovanile FIPAV





Il tema della ricezione del servizio, in tutti i contesti giovanili femminili più qualificati della pallavolo femminile italiana, è percepito come elemento essenziale del sistema di allenamento. La ricezione del servizio resta un contenuto dell’allenamento pallavolistico variamente interpretato dagli allenatori, anche se tutti, compresi i coach che operano in squadre di alto livello seniores, ne riconoscono l’importanza e la centralità. Pur riconoscendo significative differenze interpretative tra contesto seniores e contesto giovanile, l’allenamento della ricezione  percorre linee di sviluppo, oltreché contestualizzate all’azione di cambio palla, anche differenziate in forme più sintetiche e analitiche di esercizio. Alla luce delle suddette considerazioni, l’apprendimento metodologico dell’allenamento della ricezione, della sua collocazione nel sistema generale di allenamento collettivo, delle forme di esercizio che vengono utilizzate per garantire un’evoluzione prestativa specifica, sono aspetti molto dibattuti nei contesti di più elevata e qualificazione giovanile femminile. 

L’allenamento della ricezione è un contenuto costante del sistema di allenamento pallavolistico

La prassi più efficace e diffusa suggerisce la necessità di pianificare una stimolazione costante delle abilità in ricezione: la presenza di esercizi che richiamino la ricezione del servizio costituisce il tema permanente del sistema di allenamento e nella pallavolo femminile giovanile italiana, a prescindere dalla forma di esercizio con cui, di volta in volta, l’allenatore intende perseguire l’obiettivo di sviluppo individuale collettivo delle necessarie competenze. Infatti, un numero sempre maggiore di allenatori, sia in ambito giovanile che impegnati in squadre seniores , ritiene che in tutti gli allenamenti ci debba essere un momento dedicato al lavoro sulla ricezione del servizio. Tuttavia, nel sistema di allenamento di primo livello internazionale seniores, la forma analitica di esercizio viene associata ad una funzione percettiva del gesto corretto; viene talvolta messa in discussione dal concetto di specificità di approccio e dall’idea che la ricezione del servizio debba essere allenata in forma stabilmente integrata con l’azione di attacco che ne consegue. Al contrario nel sistema di allenamento giovanile, esigenze didattiche di sviluppo delle abilità caratteristiche determinano un maggiore ricorso a proposte analitiche sintetiche di esercizio, proprio per migliorare la gestione esecutiva del gesto. La didattica delle tecniche, in un sistema stabilmente contestualizzato all’azione specifica di gioco in cui esse sono implicate, costituisce il presupposto per velocizzare apprendimenti specifici e specialistici  nella prassi dell’allenamento giovanile qualificato, l’opinione su questa strategia operativa appare eterogenea e controversa quando ci si trova ad affrontare processi didattici di elementi motori di base (come come, ad esempio il Bagher e le varie tecniche di spostamento del ricevitore) o partendo da livelli di motricità significativamente compromessi dal punto di vista coordinativo. Infatti, la necessità di intervenire sul movimento del giovane, apportando modifiche, correzioni esecutive, presuppone frequenti feedback positivi per conseguire un’adeguata stabilizzazione e controllo dell’esecuzione del gesto finalizzato: ciò è possibile solo attraverso proposte analitiche attuate in forma più o meno facilitata. In tal senso, l’analisi nella didattica delle tecniche di base resta un passaggio probabilmente necessario e opportuno. Nell’apprendimento tecnico specifico e nell’allenamento situazionale di sequenze motorie finalizzate, diventa determinante il confronto tra esecuzioni efficaci e esecuzioni meno efficaci, errate, corrette ma con esito negativo, ovvero con vari scenari diversi tra loro, sia nell’esecuzione che nell’esito finale dal punto di vista prestarivo: ciò significa che la variabilità situazionale è determinante e essenziale dell’apprendimento la stimolazione variata della ricezione del servizio non fa eccezione alla regola metodologica descritta. 

L’allenamento della ricezione prevede la ripetizione finalizzata del tocco di palla e richiede volumi elevati di esercizio specifico

Tutti i contesti qualificati riconoscono l’importanza del volume complessivo di ripetizione come fattore correlato con processi evolutivi misurabili, sia delle performance individuali che in quelle del sistema collettivo di ricezione adottato dal team. L’importanza del volume di ripetizione deriva dal fatto che, in tutti i contesti giovanili femminile più qualificati, è descritto come elemento ricorrente delle diverse strategie attuate nella prassi dell’allenamento ad esempio nella fase di preparazione all’allenamento specifico della ricezione, è diffusa la tendenza ad utilizzare esercitazioni che inducono comportamenti motori assolutamente caratteristici del ricevitore, ovvero interventi per eseguire tocchi di palla in risposta traiettorie tese provenienti dal campo avversario; oppure, nella fase centrale dell’allenamento, è frequente l’utilizzo di alternanza tra esercitazioni collettive, più contestualizzate all’azione di gioco, con altre esercitazioni sintetiche e analitiche orientate a generare volumi elevati di ripetizioni pro capite; talvolta, nell’organizzazione dell’allenamento sintetico della ricezione, e ricorrente l’idea di ridurre il numero dei giocatori impegnati contemporaneamente sulla linea di ricezione, sia per generare una proposta specifica per quanto riguarda la soluzione del conflitto di competenze sia, nel contempo, salvaguardia il numero di interventi pro capite su caratteristiche traiettorie della palla; infine, in momenti generalmente collocati a margine dell’allenamento collettivo, ovvero all’inizio dell’allenamento, dopo un’attivazione motoria essenziale mirata, o a fine di esso, durante il defaticamento, è frequente il ricorso ad ulteriori momenti di lavoro personalizzato che, oltre a porre l’accento su esigenze, correzioni, dinamiche esecutive individuali, concorre a preservare il principio del volume elevato di allenamento specifico.

La valutazione della prestazione tecnico-tattica della ricezione del servizio

I contesti formativi femminili di primo livello convergono sul concetto che la prestazione tecnico-tattica della ricezione debba essere misurata sul profilo di squadra e sulla quantità dell’interazione di cambio palla (in termini di organizzazione di efficacia dell’azione). Tutto ciò perché è la prestazione nell’attacco di cambio palla ad essere significativamente correlata con gli indicatori di risultato e non la prestazione di ricezione.
Questo dettaglio è molto importante nell’attività giovanile perché suggerisce una stima a lungo termine dei processi evolutivi della ricezione: ovvero, suggerisce di considerare che la dinamica evolutiva del fondamentale ricezione è lenta (perciò richiede tempo e lavoro), che è progressiva (il trend positivo, assieme alla ricorrenza di picchi elevati di prestazione specifica, e più importante e predittivo della sua stabilità prestativa), che non può e non deve essere un elemento discriminante del percorso formativo in giovane età (a vantaggio di un opportuno ritardo di specializzazione nelle mansioni di centrale e opposto, ruoli che generalmente non partecipano alla ricezione del servizio avversario) e che l’organizzazione del sistema di ricezione deve essere commisurata alle abilità dei singoli ricevitori (perciò non legata a convenzionali modelli di riferimento di alto livello).

L’utilizzo dei target specifici nell’esercizio di battuta e ricezione

Nelle modalità di allenamento della ricezione, basate sulla contrapposizione competitiva con il servizio avversario, è ricorrente all’utilizzo di un sistema di monitoraggio prestativo reciproco sui due fondamentali impegnati: talvolta il monitoraggio riferito solo alla ricezione, se non altro per gestire un oggettivo criterio utile a definire la successione dei ricevitori impegnati nell’esercizio. I target proposti sono generalmente riferiti alla relazione tra il numero di interventi positivi e quello degli degli interventi negativi ovvero interventi che generano punto diretto o contrattacco da una freeball a favore della squadra avversaria) in una determinata serie di ripetizioni: la suddetta valutazione è direttamente confrontabile con ciò che avviene in gara, ovvero con la valutazione della ricezione tramite il sistema diffuso di scautizzazione che consente di rilevare, in modo pressoché immediato, positività ed efficienza, sia del sistema che dei singoli giocatori impegnati. 
Durante allenamento della ricezione si ricorre frequentemente a modalità diverse di valutazione che hanno, ad esempio la funzione di generare pressione sul risultato (così come avviene in certi momenti del set della gara): i sistemi di gestione del target che, a fronte di un errore, prevedono ritorno all’inizio della serie, sono molto pressanti sul risultato e determinano sia una marcata capacità di reiterare un livello di attenzione elevato che un’abitudine, man mano  sempre più consolidata, alla gestione della frustrazione legata alla difficoltà indotta dall’avversario. In altri sistemi di gestione del target si ricorre a strategie che danno enfasi e pressione in forma differente. Un sistema diffuso di monitoraggio della performance di ricezione (spesso utilizzato anche nel monitoraggio dell’azione completa di cambio palla) consiste nel perseguire target positivo reiterati, ovvero nel conseguire una determinata serie di interventi positivi consecutivi: in questo modo si intende stimolare nei ricevitori l’atteggiamento del momento vincente del momento di grande difficoltà nella ricerca di una reazione significativa.

Conclusioni

Il dettaglio più interessante che emerge dal punto di vista metodologico e la necessità di allenare la ricezione del servizio attraverso la contrapposizione tra servizio e ricezione; ciò significa che non esiste un esercizi migliori o peggiori, che non esistono modalità di approccio al lavoro particolari e che i sistemi di stimolazione allenante devono essere contestualizzate all’azione specifica. In pratica, non è l’esercizio scelto determinare una didattica efficace è un allenamento funzionale, bensì le indicazioni che l’allenatore fornisce nella conduzione del lavoro nella gestione diretta del protocollo di allenamento.


venerdì 1 marzo 2024



MINDFULNESS E PERFORMANCE SPORTIVA
















Cosa si intende con la parola mindfulness? È una parola inglese che vuol dire consapevolezza ma in un senso particolare. Non è facile descriverlo a parole perché si riferisce prima di tutto un’esperienza diretta. Tra le possibili descrizioni, e diventata “classica“ quella di John kabat-Zinn, Uno dei pionieri di questo approccio. “Mindfulness, significaPrestare attenzioneIn modo intenzionale, al momento presente, in modo non giudicante”. Si può descriverla anche come di un modo per coltivare una piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora del momento
Le pratiche di mindfulness, possono aiutare gli atleti a sviluppare e perfezionare le capacità sportive e le prestazioni di punta in una varietà di situazioni competitive. La mindfulness aiuta gli atleti a gestire quegli aspetti emozionali, comportamentali e interpersonali che impediscono loro, da una parte, di conseguire migliori livelli di prestazione sportiva, e dall’altra di vivere pienamente tutti gli altri molteplici aspetti della loro vita. In particolare la mindfulness può essere di aiuto per:
Migliorare la propria capacità concentrativa sul corpo e sulla mente. Ogni sport richiede di essere consapevoli dello stato della propria mente e del proprio corpo nel momento presente. Senza attenzione l’equilibrio mente corpo necessario ad una ottimale performance si perde facilmente. E’ facile allora farsi sfuggire il momento giusto, andare fuori tempo, incontro a risultati al di sotto delle proprie capacità o addirittura ad infortuni. Uno dei motivi perché le persone amano fare sport, sia a livello agonistico che amatoriale, è perché possono godere delle prestazioni fisiche, focalizzando totalmente la mente nel corpo che sperimenta se stesso nel qui ed ora. Quando si è liberi dalla costante preoccupazione di sé, ci si apre a livelli di prestazioni e di coscienza che si estendono ben oltre le normali potenzialità umane.
Raggiungere una quiete interiore e la calma in mezzo a contesti altamente competitivi e stressanti. Si richiede agli atleti di lasciare da parte le preoccupazioni, le paure, le incertezze e ogni pensiero o emozione che possa distoglierli dalle perfomance sportive. Spesso questo viene fatto con sforzo e tagliando fuori e reprimendo parte della propria vita a costo di gravi ripercussioni fisiche mentali e relazionali. La mindfulness sollecitando a coltivare un luogo mentale di quiete e di equanimità – l’essere stabili nel momento presente – permettere di accedere ad un serbatoio di forza interiore che morbidamente possa dirigere l’energia lì dove necessario nei modi e nei tempi più utili secondo i vari contesti in cui via via ci si trova.
Realizzare più elevati livelli di abilità, aumentando l’integrazione tra il sistema interno della propriocezione del corpo, una più raffinata consapevolezza sensoriale, e la pura coscienza, non identificata con propri contenuti: pensieri, immagini, emozioni ecc. In questa consapevolezza capace di integrare i vari stati cognitivi, emozionali, sensoriali che si presentano momento per momento nel proprio campo di coscienza e di esserne testimone svincolato, l’atleta è in grado di cogliere una gran quantità di informazioni utili alla performance desiderata, scegliere tempi, e modi più opportuni di azione senza sforzo e spreco di energie.
Diventare più consapevoli del significato e della relazione dinamica tra posizione del corpo, sensazioni fisiche, emozioni, pensieri, la qualità del proprio stato mentale e delle condizioni ambientali, o del contesto relazionale in cui si trova a gareggiare. Nella condizione di consapevolezza l’atleta sarà testimone del proprio corpo, della realtà esterna e della propria interiore con apertura mentale, compassione e curiosità, senza pregiudizi o giudizi critici reattivi. Questo gli permetterà di cogliere la realtà così com’è momento per momento e di utilizzarla come punto di forza per migliorare le proprie prestazioni.
Affidarsi maggiormente al “corpo intuitivo” per affinarne e valorizzarne le prestazioni. Con la mente pensante analizziamo i nostri movimenti e cerchiamo di controllare il corpo attraverso una deliberata intenzione. Questo controllo è essenziale quando è necessario apprendere le tecniche e le competenze di uno sport, anche per integrare tra loro le molteplici informazioni tecniche, ma diventa meno importante, se non di ostacolo, quando si è nel momento della performance. E’ allora utile lasciare andare la manipolazione volontaria del corpo, e lasciar essere e affidarsi all’intuizione corporea del momento. Proprio come la vita stessa, ogni momento in uno sport competitivo è unico, in costante cambiamento nelle variabili interagenti, e infinitamente complesso. L’analisi e la logica sono troppo pesanti e lente per dare una panoramica completa e istantanea delle dinamiche in rapida evoluzione di quel singolo momento, questa restituzione utile nel momento sportivo avviene istantaneamente in modo intuitivo attraverso il corpo. La mindfulness permette di essere in completa sintonia con la soluzione ottimale scaturita dalla completa acquisizione delle forze in campo nel momento presente.

martedì 27 febbraio 2024

 L’ORA DI LEZIONE 

PROF. MASSIMO RECALCATI 





Buongiorno amici, oggi vi propongo un post, con un audio-video di una lectio magistralis, di Massimo Recalcati tratta dal suo libro, dal tema l’ora di lezione. All’interno dell’audio ci sono moltissimi spunti di riflessione sicuramente unici e coinvolgenti. Il professore Recalcati, oltre a far riferimento a sue esperienze personali, tratta tematiche di filosofia, psicologia, sport, e formazione in genere. Vi consiglio vivamente di ascoltare per intero l’audio, anche se un po’ lungo, perché potrebbe cambiare radicalmente la prospettiva con riferimento al modo di proporre e proporsi verso le giovani atlete. Un mio giovane collaboratore mi chiese, ” ma dove lo trovi tutto questo tempo per aggiornarti “, ho risposto l’amore per il sapere.
Stefano Lorusso

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Il Professor Recalcati, dopo il diploma di agrotecnico compie gli studi universitari e consegue la laurea in filosofia nel 1985 presso l'Università degli Studi di Milano, discutendo una tesi dal titolo Désir d'être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud. Nell'estate dello stesso anno, la lettura degli Scritti di Jacques Lacan orienta la sua formazione verso la psicoanalisi. Nel 1989 si specializza in psicologia sociale presso la Scuola di psicologia di Milano diretta da Marcello Cesa-Bianchi. Svolge la sua formazione analitica tra Milano e Parigi, dal 1988 al 2007. Dal 1994 al 2002 è stato direttore scientifico nazionale dell'A.B.A., Associazione per lo studio e la ricerca dell'anoressia-bulimia. Nel 2003 fonda Jonas: Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi, di cui è stato il presidente fino al 2007. Ha svolto attività di supervisione clinica presso istituzioni della salute mentale (comunità terapeutiche, SerT, centri di psicoterapia, reparti ospedalieri) in diverse città italiane. È supervisore clinico presso la Residenza Gruber di Bologna, specializzata nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare (D.C.A.) gravi.
Ha insegnato a contratto presso le università di Milano, Padova, Urbino, Bergamo, Losanna, Verona. Sempre a contratto, insegna dal 2006 presso l'Università di Pavia e dal 2020 presso lo IULM di Milano. Collabora con riviste specializzate, nazionali ed internazionali (Aut Aut, Pedagogika, LETTERa , Psychanalyse, Revue de la Cause freudienne, Clinique Lacanienne, Psiche). Ha scritto per le pagine culturali del Manifesto (2001-2013) e scrive per quelle di Repubblica (dal 2011) e de La Stampa (dal 2020).
Dirige dal 2003 al 2018 la collana Jonas. Studi di psicoanalisi applicata per Franco Angeli Editore. Dal 2014, dirige la collana Eredi[3] per l'editore Feltrinelli. Dal 2015 la collana Studi di Psicanalisi per le edizioni Mimesis. Dal 2016, sempre per Mimesis, la collana Tyche - Quaderni Irpa.
Dal 2009 al dicembre 2019 è membro analista dell’Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi (ALIpsi). Dal 2013 è membro analista di Espace Analytique.
Dal 2016 è ideatore e direttore scientifico del KUM! Festival di Ancona. Nello stesso anno tiene sei brevi lezioni su Vincent Van Gogh, Jackson Pollock, Giorgio Morandi, Alberto Burri, Antoni Tàpies e Jannis Kounellis ne L'inconscio dell'opera per Sky Arte. Nel 2017 promuove a Milano la fondazione della Scuola di partito "Pier Paolo Pasolini"[5], presso il Partito Democratico italiano.
Nel 2018 tiene quattro brevi lezioni in Lessico famigliare per Rai 3 sulle figure della madre, del padre, del figlio e sulla scuola. Nello stesso anno, si racconta in A libro aperto, il documentario de La Effe che, in tre capitoli, delinea la sua storia dall'arrivo a Milano fino a oggi. Cura la consulenza drammaturgica agli spettacoli In nome del padre (2018) e Della madre (2019) di Mario Perrotta.
Dal 2018 al 2019 dirige la rivista di psicoanalisi LETTERA con Federico Leoni. Nel 2018 entra a far parte del comitato scientifico della rivista "Studi sartriani", edita da Roma TrE-Press. Dal 2019 dirige con Federico Leoni la collana "KUM!" edita da Il Melangolo (Genova).
Sempre nel 2019 tiene sette lezioni sull'amore in Lessico Amoroso, che va in onda su Rai3 e cura l'introduzione a L'idiota della famiglia di Jean-Paul Sartre[6]. Nello stesso anno dà avvio a "Divergenze/Associazione per le pratiche della cura e della clinica"[7], movimento che intende allontanare la pratica della cura dal feticismo dei numeri, per affermare una cura in grado di accogliere la dimensione umana e, contro l'anonimato, la particolarità insostituibile del nome.



Oggi parleremo di formazione. La formazione non è un viaggio non come quello che si fa per raggiungere un luogo definito, non c’è una città di partenza è una città di arrivo non è come prendere un treno pagare un biglietto ed essere sicuri del tempo che passa tra la fermata in cui saliamo è quella in cui scendiamo. La formazione non è un percorso lineare fatto a stazioni, piuttosto dobbiamo immaginare che la formazione di una vita è una linea tortuosa spiraliforme, fatta di passi indietro, di smarrimenti, di ritorni su se stesso e dobbiamo pensare che se la formazione di una vita è sempre irregolare, è un percorso sempre tortuoso questo percorso è innanzitutto fatto da incontri. La formazione è l’effetto degli incontri che abbiamo avuto nella nostra vita e vuol anche dire che la nostra vita è l’insieme degli incontri che abbiamo avuto e allora potremmo affermare subito che ci sono in questi incontri, negli incontri che la nostra vita riassume, possiamo distinguere incontri buoni e incontri cattivi e potremo definire l’incontro cattivo come quell’incontro che chiude il mondo e definire quello buono come quello di quell’incontro che sa aprire il mondo. Se analizziamo l’etimologia della parola insegnamento, ” insegnare porta “ con sé nella sua radice lasciare un segno lasciare un’impronta un bravo insegnante colui che sa lasciare un segno che sa lasciare un’impronta.
Massimo Recalcati





giovedì 22 febbraio 2024


INSEGNAMENTO DELLE TECNICHE INDIVIDUALI DI BASE 





Hiroshi Toyoda, presidente della Commissione allenatori della FIVB 

È compito dell’allenatore insegnare ai giocatore di cui è responsabile le sette strutture di gioco fondamentali che descriveremo. Si tratta di competenze individuali essenziali che sono indispensabili per partecipare a una partita di pallavolo. Quando i giocatori hanno ben padroneggiato ciascuna di queste competenze, l’allenatore potrà passare ad allenamenti più complessi. Notiamo inoltre che è difficile pervenire a buone performance di squadra se i giocatori individuali non padroneggiano queste sette strutture di gioco fondamentali. L’allenatore deve conoscere gli aspetti teorici e pratici di ciascuna di loro per poterle spiegare chiaramente ai giocatori.

giovedì 25 gennaio 2024


 ESERCIZI SINTETICI RICEZIONE ATTACCO

 


Cos’è l’esercizio di sintesi


L'esercizio di sintesi è il mezzo di lavoro piú importante negli sport di situazione.

Esso rappresenta il mezzo con cui, da un lato la tecnica, insegnata in forma prevalentemente analitica, non diventa tecnicismo, monopolizzando questo lavoro nel sistema di allenamento, dall’altro il gioco, "forma globale" nella sua funzione formativa, non diventa l'unica strategia di lavoro, destabilizzando, per rispondere ad esigenze tattiche, parametri esecutivi di molti movimenti, andando a discapito  del livello di qualificazione.


L'ESERCIZIO DI SINTESI RISPETTA LA NECESSITÀ DI UNA

PROGRESSIVA INTRODUZIONE DI VARIABILI SITUAZIONALI


La situazione si allena attraverso:


A- l'automatizzazione di movimenti contenuti nella logica del gioco.


B- il miglioramento della gestione motoria.


C- il miglioramento della "parte fisica" del movimento.


D- un transfer mentale-emozionale.


L'esercizio a coppie ad esempio di attacco-difesa, molto utilizzato dagli allenatori, ha lo scopo di migliorare la sensibilità tecnica dei fondamentali individuali, ma ha poco transfert nelle situazioni di gioco


IL TRNSFERT RICHIEDE


A- specificità rispetto la generalità.


B- globale rispetto all'analitico.         .


C- situazione casuale rispetto alla situazione fissa.


D- vicinanza emotiva alla situazione agonistica.


L'ESERCIZIO SINTETICO È CON RIFERIMENTO 
ALLA STRUTTURA DEL GIOCO.


A- una tecnica individuale è inserita nel fondamentale del gioco.


B- Il fondamentale è inserito nella sua sequenza motoria in una determinata azione.


Nel percorso di sviluppo dei principi tattici fondamentali, strettamente connessi allo sviluppo delle competenze tecniche, è possibile tracciare alcuni step formativi in cui gli 
esercizi di sintesi rappresenta il mezzo di lavoro  privilegiato per facilitare l'utilizzo delle tecniche apprese con l'esercizio analitico e nelle dinamiche di gioco.
Vi illustro alcuni esercizi sintetici in
progressione didattica per l'allenamento dell'attacco e difesa. Alcuni esercizi potranno apparire complessi  e con caratteristiche proprie dell'esercizio in forma globale. A mio avviso sintetizzano abbastanza fedelmente una parte del gioco e più precisamente il contrattacco.


VIDEO







martedì 16 gennaio 2024

 Settimo 10 Giugno 2023


SELEZIONE REGIONALE DEL PIEMONTE 

ESERCIZI DI BATTUTA E RICEZIONE 

DALL’ANALITICO AL GLOBALE 

Allenatori Barbara Medici Marco Pigliafiori





Oggi faremo un lavoro di battuta e ricezione partendo da una fase analitica in progressione con una fase sintetica. Partiremo con un’attivazione specifica per il bagher di ricezione. Il ritmo di allenamento sarà abbastanza alto per iniziare a far comprendere alle ragazze il metodo di lavoro.

  • Attivazione muscolare e mobilizzazione articolare

  • Lavoro differenziato per le palleggiatrici

  • Lavoro di sensibilizzazione con bagher laterale

  • Lavoro analitico battuta e ricezione con palla corta su lancio 

  • Lavoro analitico battuta e bagher laterale

  • Lavoro con i centrali e palleggio ricezione su battuta semplice in zona 5 e combinazione con i centrali.

  • Stesso lavoro cambiando lato

  • Battuta e ricezione con battuta dai plinti in diagonale e battuta dell’allenatore  frontale alzata e fermi la palla in posto 4





  • Lavoro di appoggio sul terzo di rete e attacco da posto 4/3/2

  • Battuta e ricezione con le varie rotazioni di gioco e conferma co attacco dell’allenatore 

VIDEO 

ALLENAMENTO 











sabato 13 gennaio 2024

 

LA MOTIVAZIONE ALLA PRATICA DELLA PALLAVOLO



Obiettivi e risultati di una ricerca della Federazione Italiana Pallavolo

Valter Borellini  Trainer e coach manegeriale, Docente della Scuola dello Sport del Coni, Federazione Italiana Pallavolo, Roma




La Federazione Italiana Pallavolo, attraverso il Comitato Tecnico Scientifico ha promosso una ricerca per raccogliere informazioni sulle motivazioni che spingono i giovani e le giovani a praticare la pallavolo, per programmare al meglio e intraprendere iniziative mirate ad aumentare la pratica della pallavolo a livello giovanile. Così è stata progettata un’apposita ricerca su variabili psicologico-sociali, con questi obiettivi: raccogliere il grado di motivazione allo sport, distinguendo i fattori che dirigono i comportamenti dei giovani verso la pratica sportiva della pallavolo; verificare la distribuzione di tali fattori per area territoriale, genere e età; verificare eventuali correlazioni tra le variabili indipendenti e le variabili dipendenti che portano i giovani a praticare lo sport; individuare e proporre aree su cui attivare azioni e, partendo dai risultati della ricerca, promuovere e sviluppare la pratica della pallavolo a livello giovanile. La ricerca, di tipo trasversale, ha adottato il quadro teorico di riferimento della teoria dell’Autodeterminazione (Self Determination Teory-STD di Deci e Rayan) e ha interessato 13.036 ragazzi/e di età compresa tra i 12 e i 18 anni. Lo strumento di valutazione utilizzato è stato un questionario con 32 item somministrato al target in forma controllata. Oltre a confermare le basi teoriche di riferimento, i primi risultati offrono spunti di riflessione sulle variabili psicologiche che maggiormente incidono sulla motivazione. In particolare i fattori motivanti più rilevanti sono “il piacere e il divertimento a praticare la disciplina”, “la volontà di miglioramento degli aspetti tecnici” e ”il piacere di mantenere relazioni sociali con amici”. Non sono state rilevate differenze significative tra la motivazione nei maschi e nelle femmine, mentre vi sono differenze a livello geograficoL’articolo completo lo potete visionare cliccando sul link https://acrobat.adobe.com/id/urn:aaid:sc:EU:7befd778-0d8d-4ae8-a2be-f8edcf515d54

giovedì 11 gennaio 2024

BISOGNI ESIGENZE E MOTIVAZIONI CONNESSE ALL’ATTIVITÀ SPORTIVA NELLE DIVERSE FASI DI CRESCITA


Marta Bugari – OPEN SCHOOL – Studi Cognitivi  




Allo sport ci si può avvicinare in qualsiasi momento con esigenze e spinte motivazionali che cambiano in relazione alla tipicità della fascia d’età in cui ci trova, è quindi molto importante che l’ambiente sportivo in cui sono inseriti i giovani atleti sia focalizzato sul rispetto degli stadi di sviluppo.
 

Perché alcuni atleti sono molto motivati mentre altri non lo sono? Cosa devo fare   per motivare gli atleti a impegnarsi sempre al massimo delle loro abilità? Perché questo ragazzo che sarebbe un vero talento s’impegna meno degli altri e sembra svogliato? La comprensione dei processi motivazionali implicati nella pratica sportiva è senza dubbio uno dei temi che suscita molto interesse tra gli psicologi dello sport. La Psicologia dello Sport studia come la partecipazione allo sport possa accrescere lo sviluppo personale ed il benessere di coloro che praticano le varie forme di attività fisica, sia per piacere personale e sia a livello di élite in attività specifiche. A livello agonistico questa disciplina è focalizzata sui processi psicologici che guidano la prestazione sportiva, i modi attraverso cui può venire stimolato l’apprendimento e l’incremento delle prestazioni, come possono essere efficacemente influenzate le percezioni psicologiche e ottimizzati i risultati di coloro che praticano le diverse forme dell’attività fisica.
Nello sport giovanile il fenomeno dell’abbandono sportivo e lo stile di vita sedentario, sempre più diffusi tra i giovani, sono fenomeni sociali da contrastare e molto spesso, conoscere i motivi che allontanano dallo sport non basta per impostare efficaci programmi di prevenzione dell’abbandono, bisogna individuare le ragioni che favoriscono il coinvolgimento sportivo e mantenerle attive nel tempo. Infatti i programmi sportivi orientati solo all’ottenimento dei risultati e che non tengono in considerazione la complessità della motivazione favoriscono infatti il fenomeno dell’abbandono precoce (Cei,1998).
Nello sport giovanile, il tema della motivazione assume una forte rilevanza perché in particolare nel periodo adolescenziale si gettano basi importanti in vista di una eventuale carriera agonistica futura e quando questa esperienza iniziale è gestita adeguatamente all’età, può aiutare i ragazzi a sviluppare caratteristiche positive di personalità come l’autonomia, la consapevolezza dei limiti personali e la cooperazione (Bordoli, Robazza, 2000). Allo sport ci si può avvicinare in qualsiasi momento con esigenze e spinte motivazionali che cambiano in relazione alla tipicità della fascia d’età in cui ci trova, è quindi molto importante che l’ambiente sportivo in cui sono inseriti i giovani atleti sia focalizzato sul rispetto degli stadi di sviluppo.
Generalmente il bambino piccolo (5-10 anni) si avvicina a uno sport perché vuole giocare, entusiasmarsi, sperimentare il proprio corpo e le abilità acquisite fino a quel momento.
In queste fasi il bambino non è ancora dotato di pensiero astratto, reagisce solo a ciò che è reale, concreto, presente e che appaga subito. Non programma, non fissa obiettivi troppo lontani e coglie soltanto le sollecitazioni del momento.
Non risponde a richieste troppo lontane o ai sentimenti come il senso del dovere o il gusto di imparare. Per loro i bisogni importanti corrispondono al trarre piacere dall’azione sportiva giocando, scaricare le energie attraverso il movimento e saper vivere in gruppo. Da un’analisi condotta da Alberto Cei su fasce di giovani atleti nella pratica del calcio è emerso che ben il 49% dei bambini tra gli 8 e i 10 anni e il 10,3% di quelli tra i 3 e i 5 anni gioca a calcio con continuità. Negli sport di gruppo, come il calcio, ai bambini è richiesto un particolare impegno cognitivo e la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro (Cei, 2005).
Il processo di anticipazione motoria si basa sull’abilità di saper prevedere ciò che il nostro avversario sta per fare e i bambini di 6-7 anni hanno difficoltà ad assumere questo punto di vista. Le ricerche hanno confermato che questa capacità si afferma in maniera completa tra gli 8 e i 10 anni e a questo proposito, una possibile ragione di abbandono sportivo, si presenta nei casi in cui gli allenatori e i genitori si aspettano dai giovani atleti più di quanto gli sia consentito dal loro sviluppo cognitivo. I bambini tra i 6 e i 7 anni, possono sperimentare una notevole frustrazione e sentirsi non apprezzati o poco capiti dagli adulti che richiedono lo svolgimento di compiti superiori alle loro capacità attuali anziché stimolare l’entusiasmo e il piacere che essi traggono dal movimento (Cei, 2005). Si capisce quindi quanto sia importante conoscere cercare e comprendere quali siano i fattori che aiutano i ragazzi ad affrontare un’esperienza sportiva in modo costruttivo e duraturo nel tempo consentendo di ricavarne soddisfazione e divertimento al tempo stesso (Bordoli, Robazza, 2000).
Bloom (1985) ha condotto una ricerca in cui ha studiato per diversi anni come si era sviluppato il talento di un gruppo di 120 atleti di alto livello ed ha evidenziato che nella fase iniziale della loro carriera sportiva ciò che risultava dominante era la componente ludica dell’attività che in tal modo aveva consentito di mantenere livelli di motivazione elevati nello svolgimento dello sport scelto. Questo approccio era stato sostenuto anche dal comportamento degli allenatori che avevano premiato principalmente l’impegno dei bambini piuttosto che i risultati ottenuti (Cei 2005).
Negli anni successivi (11-14 anni) il giovane familiarizza con il pensiero astratto e desidera vedere fin dove può arrivare, può programmare e fissarsi obiettivi a lungo temine e s’impegna nella cooperazione mentre l’adolescente (15-20 anni) può preparare gli stadi più elevati della professionalità e vivere già il ruolo di adulto (Prunelli, 2002).

Perché alcuni atleti sono molto motivati mentre altri non lo

L’adolescenza è quel periodo di transizione in cui non si è più bambini ne si è ancora adulti e il compito universale dell’adolescente è individuare la sua personalità per preparare il passaggio dalla dipendenza dei genitori all’autonomia.

Durante l’adolescenza, si assiste sul piano cognitivo una forte carica intellettuale sviluppata in senso critico e a un elevato entusiasmo per esperienze molto diverse che, in ambito sportivo, si manifesterà nel soppesare le situazioni e le strategie di gara, le tecniche di allenamento, i rapporti con gli allenatori mentre il bisogno di fare esperienze diverse troverà soddisfazione nella pratica delle varie discipline, individuando allo stesso tempo nuovi percorsi verso obiettivi più precisi (Giovannini, 2002). Lo sport allena all’iniziativa, alla responsabilità, spinge alla socializzazione e alla cooperazione, insegna a pensare, valutare e proporre. Ha rivelato possedere grandi potenzialità educative al pari della famiglia e della scuola ma con il vantaggio di educare col gioco e insegnare divertendosi al punto che oggi si configura come un ambiente di apprendimento alternativo per tanti adolescenti, capace di trasmettere valori e principi che formano e strutturano la personalità.

Come afferma Lidz (1963), dal momento che nell’adolescenza si verifica la scoperta di un’identità individuale collocata esternamente all’ambito familiare, l’approdo a un gruppo sportivo può essere da un lato un mezzo utile per conoscere questa nuova identità grazie anche alla maggiore autonomia di cui si può godere mentre dall’altro essere parte di un gruppo è un momento importante di socializzazione per l’adolescente che suscita sentimenti di accettazione e integrazione importantissimi in un periodo dello sviluppo caratterizzato da dubbi e incertezze sul sé (Giovannini, 2002).

Far parte di un ambiente sportivo favorirà l’adolescente nella realizzazione della socializzazione secondaria: trovandosi a interagire con diverse figure adulte che rappresentano i principali sostituti delle figure genitoriali in un contesto emotivamente più neutro rispetto a quello familiare, entrerà a far parte di un gruppo che consente l’instaurarsi di relazioni che hanno diversi livelli di coinvolgimento e la sperimentazione di nuovi ruoli sociali (leader, gregario ecc..) (Giorgi, Tortorelli, Grifoni, Fiorineschi, 2004). Il gruppo sportivo rappresenta inoltre un contesto in cui la competizione è ammessa, anche se sublimata, favorendo sentimenti di antagonismo nei confronti degli avversari e la coesione all’interno del contesto di appartenenza (Giovannini, 2002).

Sul piano socio-affettivo e relazionale, la figura dell’allenatore assume il ruolo di guida capace di ascoltare, dare consigli valorizzando e apprezzando l’adolescente, convogliando le sue energie, la sua esuberanza e il suo desiderio di cambiare verso obiettivi sportivi nuovi oltre che appaganti (Giovannini, 2002).

L’allenatore inoltre, grazie a un bagaglio formativo ed esperienziale specifico, agisce sulla personalità dell’atleta lasciando spazio alla sua creatività, alle sue iniziative senza determinare alcuna scelta e facendo si che si assuma le sue responsabilità con lo scopo finale di promuovere la crescita dell’atleta nella sua complessità (Prunelli, 2002). Ragazzi e ragazze fanno sport per un insieme abbastanza ampio di ragioni, alcune relative allo sviluppo delle competenze sportive e al piacere di confrontarsi con i coetanei, altre riguardano il bisogno di stare con gli amici e spendere energia attraverso l’azione fisica.

Da alcune ricerche fatte su ragazze e ragazzi di età compresa tra i 12 e i 16 anni è emerso che per le ragazze praticare sport era motivato da alcuni fattori importanti come: divertirsi, imparare nuove abilità, gareggiare, far parte di una squadra e trarre piacere dalle sfide. Per i ragazzi fattori simili sono prioritari ma con una differente ordine gerarchico; il piacere per le sfide, divertirsi, gareggiare e imparare nuove abilità. Un dato particolarmente significativo è che l’elemento più importante da soddisfare per ambedue i sessi sia il miglioramento della propria competenza sportiva cioè il desiderio di diventare molto bravo in uno sport, apprendere qualcosa di specifico attraverso un azione sportiva indipendentemente dei premi o le ricompense ottenute: i giovani scelgono uno sport in quanto vogliono ad esempio imparare a correre, fare canestro, saltare in alto o andare sugli sci (Cei, 1998).

Grazie a una serie di ricerche (Cei, 2005) è stato possibile rilevare i principali fattori motivazionali che emergono da tutte le analisi e che sono comparabili con quelli proposti dalla letteratura internazionale.


     Essi sono:


  • Acquisizione di status: il desiderio di essere popolare, diventare importante, farsi notare dagli altri, raggiungere i più alti livelli, trarre piacere dalle sfide, gareggiare e fare qualcosa in cui si è bravi, ricevere premi o medaglie. Questa dimensione è costituita per la maggior parte da fattori esterni al soggetto, mentre solo una (trarre piacere dalle sfide) si riferisce a fattori interni al giovane e completamente dipendenti dal suo modo di agire.
  • Forma fisica e abilità: sentirsi in forma, essere fisicamente attivo, acquisire e migliorare le proprie abilità e divertirsi nel fare esercizio. Negli anni precedenti, la forma fisica e l’acquisizione delle abilità non sono percepiti come fattori correlati, mentre a partire dai 14 anni questi giovani atleti acquisiscono consapevolezza su quanto ognuno di questi aspetti siano fortemente collegato l’uno all’altro tanto da costituire un unico fattore motivazionale. Questo faciliterà un maggiore impegno dovuto alla convinzione che la componente fisica partecipa al miglioramento della componente tecnico-tattica.
  • Squadra: il desiderio di far parte di una squadra, lo spirito di squadra, il lavoro di squadra e il desiderio di vincere. Emerge quindi come impegnarsi insieme ad altri coetanei nel raggiungimento di obiettivi agonistici e l’importanza di far parte di un collettivo unito sono gli obiettivi principali per raggiungere la vittoria.
  • Rinforzi estrinseci: il sostegno ricevuto dai genitori, dagli amici, la soddisfazione ricavata dal rapporto con l’allenatore nel sostenere l’attività e il piacere di utilizzare il materiale sportivo. Da questi dati si capisce che non solo i coetanei giocano un ruolo centrale nel sostenere la motivazione ma anche la funzione degli adulti è assolutamente importante. L’ambivalenza del rapporto con gli adulti, evidenziabile nella necessità di mantenere un legame costruttivo e la richiesta di maggior libertà, se ben orientata, può rappresentare un’opportunità di maturazione psicologica estremamente importante.
  • Amici/divertimento: il desiderio di divertirsi, il desiderio di stare con gli amici, di fare nuove amicizie e il desiderio di viaggiare. Sono evidenziati qui gli aspetti più tipicamente affiliativi dell’esperienza sportiva, di socializzazione al di fuori della famiglia e all’interno di un gruppo di coetanei. Questa dimensione non è connessa al raggiungimento di risultati sportivi.
  • Piacere per l’azione: il piacere tratto dall’azione in sé, dal gareggiare e praticare quell’attività sportiva. Questa componente motivazionale deve essere ben considerata dagli allenatori che dovrebbero chiedersi in che misura le sedute di allenamento soddisfano queste specifiche esigenze o se per favorire lo sviluppo tecnico, questi aspetti vengono trascurati.
  • Consumare energia: il bisogno di consumare energia, di entusiasmarsi e scaricare il nervosismo. Questa è una componente motivazionale strettamente collegata a quella precedente e la presenza di due fattori che riguardano la gestione delle sue emozioni (il bisogno di spendere energia e scaricare il nervosismo) tramite l’impegno sportivo, testimonia l’importanza di questi bisogni che devono essere riconosciuti e soddisfatti dagli adulti (genitori, allenatori) con i quali i giovani atleti si trovano ad interagire (Cei, 2005).

Nel gruppo dei più giovani (9-11 anni) è maggiormente dominante la dimensione affiliativa (fare sport con gli amici, incontrarne di nuovi e divertirsi), nelle fasce d’età successive emergono più forti il desiderio di eccitamento e di entusiasmarsi (12-14 anni) mentre solo successivamente (oltre 14 anni) si evidenzia il desiderio di raggiungere e mantenere la migliore forma fisica e la competenza sportiva. In riferimento a quest’ultima fascia d’età è stato riscontrato che i maschi nella loro pratica sportiva attribuiscono un importanza particolare all’Acquisizione di status, al vincere, ricevere premi mentre le femmine danno maggior importanza alla dimensione Amicizia/Divertimento e Forma fisica (Cei 2005).

Le dimensioni Squadra e Amicizia/Divertimento sono molto significative sia negli sport individuali che di gruppo. Da ricerche successive è emerso che nei più giovani l’affiliazione è uno dei fattori più rilevante mentre nelle età successive prevalgono il bisogni di eccitazione e l’acquisizione di competenze sportive.

Queste differenze sono addebitate alla evoluzione psicologica dei giovani che va da una fase in cui è fondamentale imparare a vivere in un gruppo ad un’altra in cui è maggiormente preminente il bisogno di spendere energia attraverso l’azione e di acquisire e migliorare le proprie abilità. Programmi d’allenamento che non tengono in considerazione il bisogno di stare con gli amici e l’esigenza di spendere energia attraverso l’azione fisica e divertirsi fanno si che, crescendo il livello agonistico, allo sport venga associata un’elevata ansia competitiva e scarsa motivazione interna alla pratica sportiva tali da determinare l’insorgenza di risvolti psicologici negativi di notevole peso per l’adolescente. L’esperienza di frequenti insuccessi sportivi uniti ad attribuzioni colpevolizzanti dei risultati negativi, riducono il senso di autoefficacia generando un vissuto di frustrazione caratterizzato da sentimenti aggressivi che possono rivolgersi internamente o verso l’esterno (Giovannini, 2002).

Anche i fattori sociali, come le elevate pressioni ambientali, l’eccessivo carico agonistico e di allenamento, la mancanza di rinforzi appropriati da parte delle figure di riferimento favoriscono l’insorgere di alcuni disturbi psicologici (disturbi d’ansia, del tono dell’umore, del ritmo sonno veglia) che possono confluire nella sindrome di burnout (perdita di interesse per l’attività svolta) o portare al drop-out (abbandono della pratica sportiva), fenomeno sempre più frequente tra gli adolescenti. Conoscere quindi la spinta motivazionale che determina e mantiene il coinvolgimento sportivo degli atleti è molto complesso e i fattori che la determinano devono essere tenuti presenti nei programmi di allenamento giovanile per incentivare i giovani atleti alla pratica sportiva (Giovanini, 2002). Numerosi studi hanno tentato di spiegare la persistenza dello sport e di abbandono in relazione alle caratteristiche psicologiche sottostanti degli sportivi.

E’ ampiamente condivisa l’idea che la motivazione sia una importante variabile che spinge all’iniziativa, verso una direzione con particolare intensità e quindi è un elemento chiave che può non lo solo facilitare la performance ma rendere l’esperienza sportiva più positiva (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010) . Anche se la motivazione è spesso trattata come un costrutto singolare, una riflessione superficiale suggerisce che le persone agiscono mosse da diversi tipi di fattori, con esperienze e conseguenze molto diverse. Ad esempio le persone possono essere motivate perché stimano una attività o perché vi è forte coercizione esterna (Ryan e Deci, 2000). Il confronto tra le persone la cui motivazione è interna e coloro che sono semplicemente mossi da un comando esterno rivela che i primi rispetto agli altri, hanno più interesse, entusiasmo e fiducia nella loro azione e questo a sua volta avrà un importante riscontro sull’azione stessa in quanto permette di realizzare prestazioni migliori, la persistenza e la creatività in esse (Deci & Ryan, 1991; Sheldon, Ryan, Rawsthorne, e Ilardi, 1997) un senso di vitalità (Nix, Ryan, Manly, e Deci, 1999), l’autostima (Deci & Ryan, 1995) e un benessere generale accresciuti (Ryan, Deci, e Grolnick, 1995), (Ryan e Deci, 2000).

Ryan e Deci (1985) hanno elaborato una importante teoria sulla motivazione: La teoria dell’autodeterminazione. Secondo i due autori esistono due principali tipi di motivazione: la motivazione intrinseca e la motivazione estrinseca.
Motivazione intrinseca ed estrinseca non sono indipendenti ma si trovano su un continuum che va dalla assoluta mancanza di motivazione (amotivation) al livello più alto di motivazione intrinseca. Un atleta motivato intrinsecamente deciderà di praticare un’attività sportiva per scelta personale, per il piacere di farlo, per l’appagamento e la soddisfazione che ne deriva senza spinte provenienti dall’esterno. L’atleta si impegnerà liberamente in attività che reputa interessanti e piacevoli, che offrano un’opportunità di apprendimento o di acquisire una competenza. Questa dimensione è caratterizzata da un locus of control interno e gli individui considerano le loro azioni auto -determinate e volitive (Un esempio è l’atleta che gioca a calcio perché prova interesse e soddisfazione nell’imparare nuovi movimenti con la palla) (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010).  Inoltre Vallerand et al. (2001) hanno sostenuto che ci sono tre tipi di motivazione intrinseca nel coinvolgimento sportivo che riguardano la motivazione verso esperienze stimolanti , per acquisire conoscenze e per realizzare le cose.
Gli atleti estrinsecamente motivati nello sport partecipano perché stimano i risultati associati che possono essere ricompense esterne come il riconoscimento pubblico o la lode (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010). Il coinvolgimento sportivo è dovuto a qualche incentivo esterno e lo sport rappresenta un mezzo per ottenere qualcosa che desiderano o evitare qualcosa di sgradito (ad esempio un atleta che partecipa alle Olimpiadi per ottenere una medaglia d’oro o il riconoscimento di uno status elevato). La motivazione estrinseca rappresenta la forma meno autodeterminata e implica forme di regolazione esterna.
Infine l’assenza di motivazione costituisce uno stato psicologico in cui le persone non hanno né un senso di efficacia né un senso di controllo rispetto al conseguimento di un risultato desiderato. Può essere quindi indicativa di un’alta probabilità di abbandono sportivo perché gli atleti non percepiscono una spinta né intrinseca né estrinseca a parteciparvi.
Ryan et al. in uno studio condotto nel 2002 su 281 ginnaste australiane trovarono che le atlete che avevano abbandonato lo sport avevano maturato motivazioni estrinseche nella spinta a partecipare, mentre quelle che avevano perseguito nella pratica del loro sport riferivano motivazioni intrinseche (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010). In un altro lavoro Pelletier e collaboratori (2001), hanno condotto due anni di studio prospettico per valutare la persistenza nel nuoto competitivo in un campione di 360 nuotatori canadesi prevalentemente adolescenti. Lo studio fu effettuato in tre fasi di raccolta dati per 22 mesi. Emerse come la decisione autonoma dei nuotatori di praticare lo sport era positivamente correlata con la motivazione intrinseca e che solo una piccola percentuale di motivazione era influenzata da fattori esterni rinforzanti.
La percezione da parte degli atleti di uno stile autoritario dell’allenatore fu associata con livelli più elevati di mancanza di motivazione e la sensazione di una forte spinta motivazionale proveniente dall’ambiente esterno. Livelli di motivazione intrinseca predissero la partecipazione al nuoto in due fasi di follow-up (10 e 22 mesi dopo) e questa dimensione fu significativa tra gli atleti che mantennero il loro impegno sportivo nel nuoto rispetto a quello che quelli che abbandonarono. (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010). Infine, un confronto significativo tra gli atleti che mantennero il loro impegno sportivo nel nuoto e quelli che abbandonarono, ha rivelato che i primi avevano una maggiore motivazione intrinseca e livelli inferiore di regolazione esterna e di demotivazione.
Alla luce di questi risultati è consigliabile che gli allenatori e i responsabili dell’insegnamento e della formazione con giovani atleti si impegnino nello strutturare programmi di allenamento che consentano di mantenere viva la loro motivazione e alta l’ auto-determinazione degli atleti nella pratica sportiva (Calvo, Cervelló, Jiménez, Iglesias, Murcia, 2010