sabato 11 giugno 2022

 

MAPPE CONCETTUALI E MAPPE EMOTIVE 

NEI PRIMI ANNI DI VITA




Estratto di una video conferenza del filosofo e psicoanalista 
Prof. Umberto Galimberti




Freud dice che nei primi 6 anni di vita si formano nei bambini le mappe cognitive e le mappe emotive. cognitive e le mappe emotive.

Mappe cognitive significa modo di conoscere. La persona conoscerà l’universo mondo man mano che cresce, ma il taglio che dà alle sue conoscenze se lo forma nei primi 6 anni di vita, definitivamente.. “Quando uso questo avverbio sto dicendo basta pensare che a tutto c’è rimedio: non è vero.” 

Mappe emotive: vuol dire che si forma nei primi anni di vita la modalità di sentire gli eventi del mondo, e di avere una risonanza emotiva dei propri comportamenti.
Le neuroscienze sono un po’ più severe, e invece dei 6 anni di Freud ci dicono che questi avvenimenti si verificano nei primi 3 anni di vita.
Qual è il modo con il quale i bambini mostrano il livello della loro attività cognitiva ed emotiva? Lo fanno con i disegni, usano dei colori, e se fanno il disegno della famiglia collocano se stessi al centro o ai margini, cioè lo segnalano come vedono il mondo e come lo sentono.
Se la mamma torna stanca dal lavoro e prepara la cena, giustamente, può rispondere al bambino che il disegno non lo guarda subito ma lo guarda domani; e domani vuol dire mai. Questo mai significa che tu dai un bel colpo negativo all’identità in formazione del bambino.


Attenzione. Non è che noi abbiamo un’identità perché siamo al mondo, ma l’identità è un dono sociale.

L’identità è il prodotto del riconoscimento che gli altri mi fanno. Se la mamma dice al suo bambino sei un cretino, e poi lo dice anche la maestra, quel bambino costruirà un’identità negativa, mentre invece se gli dice sei bravo e la maestra pure, il bambino costruirà un’identità positiva, in generale – questo ovviamente schematizzando. Ma l’identità appunto è un dono sociale, non me la posso dare io, non me la dò io. I greci questa cosa l’avevano capita alla perfezione, perché mettevano la città prima dell’individuo.

Una persona è il frutto dei doni sociali che ha ricevuto nel corso della propria vita. E l’identità dei bambini non la puoi strutturare dicendo domani, quando poi domani vuol dire: mai. Bisogna curarla l’identità dei bambini. E bisogna curarli questi passaggi in cui ti fanno vedere come conoscono e come sentono il mondo.

Quando un bambino chiede un perché non sta facendo una interrogazione stupida ma sta cercando il principio di causalità. I bambini che cercano il principio di causalità sono all’interno di un processo fondamentale. I bambini nascono completamente pazzi, non perché sono impazziti ma perché non conoscono il codice del mondo. Se e quando riescono a stabilire dei nessi causali, allora il nesso causale riduce la loro angoscia.

Se io so che il tuono viene prima del fulmine o il fulmine viene prima del tuono io riesco a stabilire un nesso di causalità e invece di spaventarmi due volte mi spavento una volta sola, il nesso di causalità consente di prevedere l’effetto della mia azione se appunto conosco il nesso. E quando un bambino chiede perché non si può ridere con l’amica, bisogna dare una risposta.

L’umanità è andata avanti con due principi, secondo il filosofo, che non sono principi filosofici ma per non generare angoscia: uno è il principio di non contraddizione cioè significa definire le cose e definire vuol dire porre fine al loro significato. I bambini ancora non sono giunti al principio di non contraddizione e infatti bisogna sempre stargli appresso, perché quando gli dai una cosa non si sa che cosa ne faranno di quella cosa, non si sa che cosa succede di quella cosa perché non hanno il principio di non contraddizione che dice il microfono è per parlare, il pennarello è il pennarello … il bambino lo usa per dipingere finché sa stare in un principio di non contraddizione per caso ma poi lo usa come un biberon, e quindi cambia significato, lo mette in bocca. Poi lo caccia nell’occhio a suo fratello, e gli cambia significato ancora diventa un’arma contundente impropria.

I bambini non hanno paura di niente, (e infatti hanno sempre bisogno di qualcuno che gli stia accanto) ma hanno l’angoscia. La paura è un ottimo meccanismo di difesa grazie al quale noi stiamo al mondo. La paura è quindi la condizione della vita. I bambini non hanno paura di niente, e infatti non vedono rischi: si sporgono dai balconi oppure prendono in mano un bicchiere di vetro e la mamma glielo deve togliere dalle mani, ma perché? Perché in realtà non sa come tratterà il bicchiere di vetro, se lo tratta come un oggetto per bere o lo tratta per fare rumore e lo sbatte per terra, o si taglia. Oppure lo prende e lo lancia suo fratello a tavola. Perché lo prende: questo è.

La ragione non è la verità, la ragione è un sistema di regole. La verità ce l’hanno i bambini, perché la verità del microfono sta nel fatto che funge sia da microfono ma anche da arma impropria, se voglio. È una verità polivalente.

I bambini hanno angoscia, che è tutto un altro sentimento, che non corrisponde alla paura. L’angoscia è definita da Heidegger, e anche da Freud anche se i due non si sono mai visti, e definiscono l’angoscia nella stessa maniera: l’angoscia è il nulla a cui agganciarsi. Se a un bambino gli spegni la luce prima di addormentarsi si mette a gridare perché perde tutti i riferimenti. Ma non è che ha paura: va in angoscia.

E dall’angoscia come si esce? O gli si accende la luce oppure va lì a prendergli la mano la mamma, che è la mediatrice di tutti i significati del mondo.




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