STRETCHING E 

PERFORMANCE 

SPORTIVA 


Gilles Cometti, Facoltà di scienze dello sport, UFR STAPS Digione, Lucio Ongaro, Facoltà di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano, Giampietro Alberti, Istituto per l’esercizio fisico, salute e attività sportiva, Facoltà di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano

ARTICOLO TRATTO DALLA RIVISTA SDS DI CULTURA SPORTIVA 
DEL CONI ANNO XXIII N. 62-63









Effetti fisiologici degli esercizi di stretching, loro restrizioni
applicative e utilità, prima e dopo la performance sportiva 


Gli effetti degli esercizi di stretching possono essere elencati rispetto a tre diverse situazioni: prima della performance, per una “preparazione” più efficace per la gara; dopo la performance per un migliore “recupero”; come tecnica per migliorare la mobilità articolare e contribuire a migliorare quella qualità che alcuni chiamano “scioltezza”. In questo lavoro, diviso in due parti, vengono illustrati, in ragione delle più recenti acquisizioni scientifiche, ruolo e utilità degli esercizi di stiramento muscolare. Nella prima parte di questo lavoro sono state trattate le basi e gli effetti fisiologici delle diverse tecniche di stretching; nella seconda parte vengono prese in considerazione le prime due situazioni: l’utilità degli esercizi di stretching prima delle prestazione, per una preparazione più efficace alla gara, e dopo di essa per un migliore recupero che allo stato attuale, risultano anche i più controversi.Gli effetti degli esercizi di stretching possono essere elencati rispetto a tre diverse situazioni: prima della performance, per una “preparazione” più efficace per la gara; dopo la performance per un migliore “recupero”; come tecnica per migliorare la mobilità articolare e contribuire a migliorare quella qualità che alcuni chiamano “scioltezza”. In questo lavoro, diviso in due parti, vengono illustrati, in ragione delle più recenti acquisizioni scientifiche, ruolo e utilità degli esercizi di stiramento muscolare. Nella prima parte di questo lavoro sono state trattate le basi e gli effetti fisiologici delle diverse tecniche di stretching; nella seconda parte vengono prese in considerazione le prime due situazioni: l’utilità degli esercizi di stretching prima delle prestazione, per una preparazione più efficace alla gara, e dopo di essa per un migliore recupero che allo stato attuale, risultano anche i più controversi.

  • Introduzione

L’utilizzo degli esercizi di stretching ha seguito il percorso tipico delle mode, ma la loro introduzione ha rappresentato un utile progresso per le diverse fasi della preparazione atletica.

Ormai da qualche decennio lo stretching è utilizzato da tutti e in modo indiscriminato da atleti praticanti differenti discipline, siano esse di potenza o di resistenza. Il suo impiego è ormai una prassi consolidata e costante in tutte le metodiche della preparazione fisica, senza particolari distinzioni, sia per le sedute di allenamento che per le fasi di training immediatamente precedenti la competizione e in alcune discipline dell’atletica, come i salti e lanci, il suo utilizzo viene particolarmente raccomandato durante le pause tra le diverse prove della gara.
Ultimamente molte evidenze scientifiche sembrano fornire indicazioni di giustificato dubbio rispetto a ciò che è sostenuto dalle consuetudini di uso metodologico suggerite da allenatori e preparatori. Questo non significa che d’ora in avanti si debbano ripudia-re in blocco gli esercizi di allungamento, ma è ragionevole che alcuni quesiti debbano trovare risposta. Eccone alcuni:
  • Gli esercizi di stretching sono utili o recano danno alla “salute” dell’atleta?

  • Vi sono differenti modalità di esecuzione degli esercizi di stretching per quanto riguarda l’intensità e la durata?

  • Gli esercizi di stretching sono utili alla fase di riscaldamento?

  • Gli esercizi di stretching sono utili o recano danno alla prestazione?

  • L’aspetto applicativo è lo stesso per gli atleti di tutte le discipline (per esempio sprinter e maratoneti)?

  • Si debbono utilizzare i medesimi esercizi sia per le diverse sedute di allenamento (seduta di potenziamento muscolare, seduta tecnica, seduta per lo sviluppo della resistenza…) che per la competizione?

  • È meglio dedicare una intera seduta allo stretching e collocarla in un giorno diffe-rente da quelli per l’allenamento tecnico?

  • Inoltre, i muscoli che non rivestono importanza primaria per la competizione (ad esempio quelli della parte superiore del corpo e del tronco per uno sprinter) possono essere “stirati” o anche per questi gruppi muscolari valgono le restrizioni applicative segnalate in questo lavoro per i muscoli locomotori degli arti interiori?

  • Infine, gli atleti che spesso mostrano episodi localizzati di “iper - tonicità” con conseguenti danni muscolari, necessita-no di un uso mirato degli esercizi di stretching?

In questa seconda parte si cercherà di rispondere ad alcune domande, mentre per altre sembra opportuno attendere ancora e favorire qualche ulteriore riflessione.
  • 2. L’utilità degli esercizi di stretching prima e dopo la performance sportiva

2.1 Stretching ed esercizi di riscaldamento per la competizione

Quale beneficio comporta l’introduzione degli esercizi di stiramento durante la fase di preparazione (riscaldamento pre-gara) alla competizione? I sostenitori dell’utilità degli esercizi di allungamento affermano che lo stretching (allungamento muscolare preceduto o meno da contrazioni isometriche) consente:
  • di innalzare la temperatura dei muscoli stirati;

  • un miglioramento della performance che seguirà gli esercizi di allungamento;

  • di prevenire infortuni muscolari.

Verranno di seguito esaminati questi tre differenti aspetti rispetto a quanto riportato in letteratura.
  • 2.1.1 L’effetto degli esercizi di stretching sull’aumento della temperatura muscolare

L’innalzamento della temperatura interna del muscolo dipende dal suo grado di vascolarizzazione; l’esercizio muscolare, attraverso un’alternanza di contrazioni e decontrazioni, permette al muscolo di svolgere un’azione di pompa che ha come conseguenza il miglioramento della circo-lazione sanguigna. Secondo Mastérovoi (1964) un’alternanza di contrazioni con-centriche contro una media resistenza, costituirebbe il mezzo più adatto ad innalzare la temperatura del muscolo. Ma cosa accade durante un esercizio di stiramento muscolare? Alter (1996), autore di una rilevante pubblicazione Science of flexibility, ha dimostrato che gli stiramenti pro-vocano nel muscolo delle tensioni elevate che comportano una interruzione dell’irrigazione sanguigna: esattamente il contra-rio dell’effetto “vascolarizzante” ricercato. Quando si alternano azioni di stiramento e contrazione, il passaggio del sangue avviene durante le fasi di rilasciamento e quindi la contrazione isometrica non sembra il miglior mezzo per stimolare l’effetto della pompa muscolare. Per questo scopo sembrerebbe più efficace utilizzare il protocollo di Mastèrovoi. 
Anche Wiemann, Klee (2000) hanno ribadito la scarsa efficacia degli esercizi di stretching per l’innalzamento della temperatura muscolare. 
Quindi gli stiramenti muscolari non appaiono i mezzi i più adatti per realizzare un riscaldamento muscolare corretto.
  • 2.1.2 Esercizi di stretching e performance

Attualmente abbiamo a disposizione i risultati di alcune ricerche che rimostrerebbero anche la pericolosità degli esercizi di stretching utilizzati nella fase di riscaldamento pre-gara. Questi risultati sembrerebbero dimostrare gli effetti negativi degli esercizi di stiramento rispetto alle prestazioni di velocità, di forza e soprattutto di salto.
  • Stretching e prestazione di velocità 

Wiemann e Klee (2000) hanno dimostrato che stiramenti passivi peggiorerebbero il livello di prestazione nelle sequenze di azioni di forza rapida: soggetti ancora in attività agonistica parteciparono ad una sperimentazione durante la quale doveva-no eseguire una seduta di stretching di 15 minuti mirata ai muscoli flessori ed estensori dell’anca, alternata a degli sprint di 40 metri. I risultati peggiorarono di 0,14 secondi, mentre i tempi ottenuti dai soggetti del gruppo di controllo che avevano eseguito della corsa lenta tra uno sprint e il successivo, non presentarono alcun aumento significativo (+0,03 secondi).
  • Stretching ed espressione di forza

Uno studio di Fowles e coll. (2000), mirato ai muscoli flessori plantari, ha dimostrato che lo stiramento prolungato di un gruppo muscolare causa la diminuzione della sua attivazione (EMG) e della relativa forza contrattile. Questo calo di forza è ancora presente un’ora dopo la fine dello stira-mento. La diminuzione dell’attivazione muscolare è presto recuperata (15 min), ma la forza contrattile, ancora dopo 60 min, rimane inferiore del 9%.
Kokkonen (1998) ha invece sperimentato l’effetto dell’introduzione di due protocolli di stretching nel riscaldamento in una prova massimale (1RM) per gli estensori e flessori del ginocchio. L’Autore, rispetto al gruppo di controllo (che non aveva utilizzato stiramenti) ha constatato un abbassamento significativo della forza prodotta, sia nel gruppo che aveva usato gli esercizi di stiramento passivo, sia in quello che aveva fatto uso degli stiramenti attivi. Anche Nelson (2001) ha verificato una diminuzione della forza in seguito a stira-menti con molleggio. Il calo di forza era compreso tra il 7 e l’8%, sia per gli estensori che per i flessori. In base a questi risultati l’Autore concludeva che è da sconsigliare l’uso di esercizi di stretching prima di competizioni che richiedono la produzione di un elevato livello di forza.
  • Stretching e “forza resistente”

In un’altra ricerca di Kokkonen e coll.(2001) si dimostra che un eccesso di stira-mento muscolare può ridurre la capacità di forza resistente. Stiramenti effettuati prima di un test di ripetizioni massimali dei muscoli ischio-crurali, determinarono una riduzione significativa del numero dei movimenti successivi. Gli Autori dedussero che non è consigliabile introdurre degli esercizi di stiramento nella fase di riscaldamento per competizioni  che richiedono un elevato impegno di “forza resistente” (canottaggio, canoa-kayak…).
  • Stretching e capacità di salto (capacità di elevazione)

Henning, Podzielny (1994) valutarono gli effetti degli stiramenti durante la fase di riscaldamento per esercizi di salto e riscontrarono, rispetto al gruppo di con-trollo (che non aveva usato stiramenti), una perdita di performance del 4% nella capacità di elevazione, affiancato ad un peggioramento della forza esplosiva. Altre ricerche hanno poi confermato gli effetti negativi dell’introduzione degli esercizi di stretching nel riscaldamento per una gara di salto. Knudson e coll. (2001) hanno riscontrato, in azioni di salto verticale, un leggero calo dei risultati in seguito a riscaldamento effettuato usando esercizi di stiramento. Church e coll. (2001) hanno sottoposto a verifica l’efficacia di diversi protocolli di riscaldamento: a) solo riscaldamento generale, b) riscaldamento e stretching statico, c) riscaldamento e stiramento con la metodica del PNF. Il gruppo che aveva praticato gli stiramenti con la tecnica PNF peggiorò in modo significativo le proprie prestazioni nel test di salto verticale. Nelle conclusioni dei loro lavori di ricerca gli Autori suggeriscono di non  utilizzare tecniche di stira-mento durante la fase di riscaldamento. Da ultimo, Cornwell e coll. (2002) hanno valutato gli effetti degli stiramenti passivi sulla performance nell’esercizio di Squat Jump (salto con partenza a 90° di flessione al ginocchio senza preventivo stiramento) e la performance nel Counter Mouvement Jump (salto con piegamento-estensione concatenati), riscontrando un significativo abbassamento della performance nel CMJ, senza peraltro verificare una diminuzione della rigidità muscolare o dell’attivazione elettrica (EMG).
  • Stretching e performance

Shrier (2004) ha recentemente pubblicato una review su stretching e performance nella quale si afferma che l'uso degli esercizi di stretching durante la fase di riscalda-mento influiscono negativamente sulla capacità di salto verticale (elevazione) e sulla forza. Invece, per quanto concerne la velocità di corsa i risultati citati sono contraddittori: alcuni studi non evidenziano alcun riscontro, altri risultano positivi e altri ancora si rivelano di significato opposto. L'Autore segnala, inoltre, che l'uso costante in allenamento degli esercizi di stretching sembrerebbe influire positivamente sul miglioramento della forza, della velocità e della capacità di elevazione. Tutto questo sembra quindi confermare quanto afferma-to: gli esercizi di allungamento rappresentano un lavoro muscolare che rivela degli effetti a lungo termine e quindi non sembrerebbero adatti alla fase che precede la competizione o alla fase immediatamente seguente quale attività utile al recupero.
  • 2.1.3 Il ruolo degli esercizi di stretching nella prevenzione degli infortuni muscolari

Molti ritengono che l’uso degli esercizi di stretching nel riscaldamento sia fonda-mentale per prevenire gli incidenti muscolari. Ma le conclusioni di numerose ricerche contraddicono questa affermazione. Shrier (1999) in una review molto documentata (più di dieci articoli) ha constata-to che lo stretching prima dell’esercizio non riduce affatto il rischio di incidenti muscolari. D’altro canto, Pope e coll.(1998; 2000) hanno condotto due diversi studi utilizzando come soggetti delle reclute dell’esercito (1998; 2000). Nel primo studio (1998), mirato al muscolo tricipite surale, si è valutato per dodici setti-mane, su oltre 1500 soggetti (divisi in due gruppi: gruppo stretching e gruppo di controllo) l’effetto di esercizi di stretching introdotti nel riscaldamento. Su un totale di 214 incidenti di natura muscolo-tendinea riscontrati, non fu evidenziata nessuna differenza significativa tra i due gruppi. Il secondo studio (2000), utilizzando lo stesso proto-collo, ebbe come oggetto d’indagine sei gruppi muscolari dell’arto inferiore. Anche in questo caso non fu rilevato alcun effetto relativo legato all’uso di esercizi di stira-mento muscolare. 
Van Mechelen e coll. (1993) hanno studiato, per sedici settimane, su una popolazione di 320 podisti, gli effetti del riscalda-mento con esercizi di allungamento e di un lavoro di defaticamento. Il gruppo di controllo che non aveva effettuato né riscaldamento, né gli stiramenti, né defaticamento subì meno incidenti muscolari (4,9 incidenti su 1000 ore di allenamento) rispetto al gruppo sperimentale (5,5 per 1000 ore di allenamento). Lally (1994) ha dimostrato, su seicento soggetti maratoneti, che il numero di incidenti muscolari registrati risultava superiore (35% in più) nel gruppo degli atleti che aveva utilizzato gli esercizi di stretching. Più recentemente, Thacker e coll. (2004) hanno valutato i riferimenti scientifici, disponibili in letteratura, allo scopo di esprimere un parere sull'efficacia dell'utilizzazione dello stretching quale mezzo di prevenzione degli infortuni muscolari: gli Autori hanno individuato sei ricerche affidabili, tra le quali le due di Pope e coll. già citate. Cinque di queste pubblicazioni non hanno dimostrato alcun effetto significativo dello stretching per la prevenzione degli infortuni. Una ricerca, tra le sei considera-te, non consente di esprimere conclusioni per ragioni legate al protocollo. Witvrouw e coll. (2004) pubblicano anch’essi una review sull’uso dello stretching come prevenzione di incidenti muscolari. Il titolo è eloquente: “stretching e prevenzione di incidenti muscolari, una relazione oscura”. Gli Autori giungono alla conclusione che gli stiramenti hanno un loro effetto positivo sulla prevenzione di incidenti muscolari unicamente negli sport con prevalenti contrazioni muscolari di tipo eccentrico (azione che sollecita il SSC: Stretch Shortening Cycle) poiché diminuisce la viscosità e la rigidità dei tendini. Secondo noi il problema risiede nel fatto che tutta la letteratura afferma che ciò avviene a scapito della performance. Peraltro, secondo gli Autori, per le attività sportive con scarsa sollecitazione muscolare pliometrica (jogging, ciclismo, nuoto) gli studi esaminati  dimostrano che l’uso degli stiramenti non determinino alcun beneficio per la prevenzione di incidenti muscolari. In conclusione, gli Autori esprimono il loro parere circa il fatto che le spiegazioni fisiologiche che dovrebbero giustificare l’efficacia dello stretching per la prevenzione degli infortuni non sono per nulla evidenti. Qual è quindi la ragione per la quale gli esercizi di stretching non sarebbero adatti a prevenire gli infortuni muscolari?
  • L’effetto antalgico degli esercizi di stretching:

è possibile trovare in letteratura il parere di alcuni Autori, e fra questi Shrier (1999), che parla del cosiddetto effetto “antalgico” degli esercizi di stiramento. In effetti la spiegazione più frequentemente formulata dai vari ricercatori che come Magnusson e coll. (1998) hanno studiato gli effetti dello stretching, fa riferimento all’aumento della cosiddetta “capacità di tollerare” lo stira-mento muscolare. In altre parole la spiegazione risiede nel fatto che il soggetto che pratica lo stretching riesce a migliorare la sua mobilità articolare in quanto l’allena-mento agli stiramenti lo abitua a sopportare meglio il disagio dovuto all’esercizio di stiramento (“Stretch-tolerance”). L’atleta quindi si “allunga” di più di ciò che è abituato a fare (i suoi recettori del dolore vengono in qualche modo inibiti) e così rischia di subire un incidente muscolare nel momento della sua attività specifica. Altri ricercatori (Taylor e coll. 1995; Henrickson e coll. 1984) che utilizzarono del caldo o del ghiaccio durante gli esercizi di stiramento, constatarono un significativo guadagno di mobilità durante gli allunga-menti passivi. Le tecniche PNF (condotte con il metodo Contract-Relax: stiramento preceduto da una contrazione isometrica) sono risultate particolarmente efficaci per desensibilizzare i recettori  propri del dolo-re e quindi non sarebbero da utilizzare nella fase di  riscaldamento.
  • I microtraumi causati dagli esercizi di stretching:

in uno studio di Wiemann e Klee (2000) si è dimostrato che gli stiramenti passivi sottopongono i muscoli interessati a tensioni talvolta equivalenti a tensioni muscolari massimali: le strutture elastiche passive del sarcomero (principalmente la Titina), delle quali si tratterà più avanti, sono molto sollecitate e aumenta la possibilità che subiscano dei microtraumi, e si ritiene che ciò costituisca un rischio per la gara. In un precedente studio, Wiemann e altri (1995) avevano sottoposto atlete praticanti ginnastica ritmica ad un allenamento eccentrico del muscolo retto femorale di entrambi gli arti. Durante la seduta di potenziamento, furono fatti eseguire degli esercizi di stiramento passivo su una sola gamba. Due giorni dopo l’allenamento, l’arto inferiore sottoposto agli stiramenti risultò significativamente più indolenzito dell’altro. Sembra quindi che lo stiramento passivo provochi una sollecitazione delle miofibrille simile a quella provocata dagli esercizi di forza, e determini eventi micro-traumatici aggiuntivi all’interno della fibra muscolare. 
Sembrerebbe questa la causa dell’aumento degli indolenzimenti muscolari (Evans, Cannon1987; Friden, Lieber1992).
  • La coordinazione agonista-antagonista: 

il fatto di cercare di allungare la muscolatura in modo marcato e di sollecitare passivamente certi gruppi muscolari, mette in gioco l’efficacia della coordinazione agoni-sta-antagonista. I muscoli ischio-crurali troppo allungati non risulteranno più così pronti all’azione di blocco violento della coscia durante la corsa. Alcuni Autori infatti attribuiscono agli esercizi di stira-mento un effetto di disturbo alla coordinazione ottimale di gesti specifici.

  • Il fenomeno del “Creeping”:

alcuni Autori spiegano l’effetto negativo dello stretching sulla performance: questo fenomeno è stato chiamato “creeping”. Wydra (1997) ha descritto nel modo seguente questo cosiddetto fenomeno del creeping: durante un esercizio di stiramento ampio e prolungato il tendine s’allunga; ciò comporta una riorganizzazione delle fibrille di collagene che si allineano, mentre normalmente hanno un orientamento obliquo. Si spiegherebbe così il guadagno in allunga-mento, che tuttavia si accompagna ad una minore capacità del tendine di immagazzinare energia elastica (Ullrich, Gollhofer 1994; Marschall 1999). Questo fenomeno è reversibile, ma con una latenza marcata, quindi non è consigliabile innescare tale meccanismo durante la fase di riscaldamento nelle discipline sportive di potenza che richiedono velocità e capacità di elevazione.
  • 2.1.4 Alcune considerazioni applicative degli esercizi di stretching per la fase riscaldamento

Alla luce degli studi precedentemente citati, si è costretti a constatare che il ricorso alle tecniche che utilizzano gli stiramenti muscolari non è indicata durante l’attività di riscaldamento, soprattutto per gli sport di potenza. Altre discipline sportive che invece necessitano di movimenti caratterizzati da ampiezze estreme del movimento (ginnastica artistica, pattinaggio artistico…) sfuggono a questa regola: in questi casi bisogna utilizzare queste tecniche per per-mettere all’atleta di raggiungere senza rischi ampiezze di movimento consone al modello prestativo della sua disciplina.
  • Aspetti applicativi:

  • dissociare gli estensori e i flessori: nel caso dell’arto inferiore è importante non trattare il quadricipite e il tricipite della sura come gli ischio-crurali;

  • gli estensori non devono essere stirati. In caso contrario verrebbe a diminuire la loro capacità di forza nell’azione di salto e di sprint. Si sconsiglia pertanto l’uso degli esercizi illustrati nella figura1;

  • i muscoli ischio-crurali potranno invece essere allungati in modo blando utilizzando una o due ripetizioni;

  • le tecniche dette PNF (Contract-Relax, e Contract-Relax-Agonist-Contraction) non vanno utilizzate nella maniera più assoluta nella fase di riscaldamento;

  • gli esercizi di vascolarizzazione (contra-zioni dinamiche - e non isometriche -contro resistenza) basati sull’alternanza contrazione-rilasciamento per favorire l’effetto “pompa” del muscolo, devono obbligatoriamente essere affiancati a movimenti blandi di stretching;

  • l’individualizzazione (personalizzazione dell’esercizio) è la chiave di volta indica-ta dagli Autori (Shrier 1999): per la mag-gior parte dei soggetti è sufficiente un solo stiramento per muscolo, altri invece necessitano di più tempo;

  • l’alternanza della contrazione muscolare dell’agonista e dell’antagonista, spesso, è sufficiente per stirare in modo naturale i muscoli interessati; semplici movimenti come esercizi di circonduzione del cingolo scapolo omerale con clavette, ed esercizi di mobilizzazione del cingolo pelvico risultano spesso più appropriati per preparare le articolazioni ai movimenti successivi effettuati con ampiezze articolari marcate.


Si può concludere questa parte dicendo che gli esercizi di allungamento sono da considerare controindicati nella fase di preparazione alla competizione con l’eccezione delle discipline che utilizzano delle ampiezze articolari estreme.

  • 2.2 Stretching e recupero

È opinione corrente che gli esercizi di stretching siano necessari ed indispensabili per ottimizzare il recupero dopo una competizione o un allenamento intenso. Le ricerche più recenti però non confermano questa convinzione diffusa. Per inquadrare meglio l’argomento è necessario definire e codificare i parametri che intervengono sulla rigenerazione e sul recupero dopo lo sforzo. Nella fase del recupero, rispetto agli esercizi di stiramento, si possono evidenziare tre aspetti:
  • un aumento della circolazione sanguigna nei muscoli stirati che faciliterebbe l’eliminazione di eventuali cataboliti;

  • la prevenzione e/o la diminuzione degli indolenzimenti muscolari;

  • un’azione “muscolare” sulle qualità viscoelastiche dei muscoli (diminuzione della rigidità o di eventuali tensioni così come un aumento del rilasciamento).

  • 2.2.1 Stretching e vascolarizzazione
Secondo Freiwald e coll. (1999) gli stira-menti di tipo statico, comprimendo i capillari, ostacolano l’afflusso di sangue e ciò comporta una diminuzione della rigenerazione proprio nei muscoli che più necessi-tano di ricupero. Schober e coll. (1990) hanno valutato l’efficacia di tre diversi metodi di stretching rispetto al recupero del muscolo quadricipite, constatando che gli stiramenti statici prolungati e la tecnica degli stiramenti effettuati dopo contrazione isometrica non favoriscono il ricupero e inoltre gli stiramenti statici hanno anche un effetto negativo. Solamente gli stiramenti a carattere “dinamico” consentono di migliorare il recupero. Rispetto a quanto affermato dagli Autori si potrebbe aggiungere che l’utilizzo di contrazioni contro resistenza con una buona ampiezza articolare migliorano l’afflusso del sangue (come capita con il cosiddetto “riscaldamento alla russa” suggerito da Masterovoi nel 1964), in maniera ancor più efficace. 
Dorado e coll (2004) hanno valutato il recupero rispetto a quattro lavori musco-lari condotti ad alta intensità fino all’esaurimento con pause di 5 minuti. Sono stati comparate tre modalità di recupero durante la pausa di 5 minuti: riposo, . stretching, recupero attivo al 20% di VO2max. Sola-mente il gruppo con un ricupero attivo ha migliorato le proprie performance durante i differenti lavori muscolari. Per le tipologie di lavoro valutate, la pratica di esercizi di stiramento durante il recupero non è risultata più efficace del riposo.

In conclusione, gli stiramenti non costituiscono certamente il miglior modo per facilitare il drenaggio del sangue. 
  • 2.2.2 Stretching e prevenzione degli indolenzimenti muscolari

È noto a tutti che il lavoro eccentrico provo-ca degli indolenzimenti marcati, ed è per questo che gli studi condotti sui dolori muscolari utilizzano questa forma di lavoro. Alcuni Autori hanno verificato gli effetti del-l’introduzione dello stretching prima dello sforzo, altri hanno utilizzato gli stiramenti dopo le prove ed altri ancora hanno utilizzato gli stiramenti durante l’allenamento.
  • Stretching eseguito prima dello sforzo 

Johansson e collaboratori (1999) studiarono, rispetto all’insorgenza di indolenzimenti muscolari, l’effetto di quattro movimenti di stiramento di 20 secondi eseguiti sugli ischio-crurali prima di un allenamento eccentrico a carico di una sola gamba. Non fu constatata alcuna differenza tra la gamba sottoposta a stiramento durante il riscalda-mento e la controlaterale non stirata. Wessel, Wan (1994) in una ricerca precedente constatarono ugualmente l’inefficacia degli stiramenti effettuati prima dello sforzo. Stretching eseguito dopo lo sforzo Buroker, Schwane (1989), dopo una seduta di allenamento con un esercizio muscolare eccentrico del quadricipite e del tricipite surale di 30 minuti, utilizzarono con un gruppo di atleti degli stiramenti statici. Non fu constatata alcuna attenuazione dei dolo-ri nei tre giorni seguenti la seduta di allena-mento rispetto agli altri gruppi. La seduta di allenamento provocò un aumento del CPK (Creatin - Phosfo - Kinase) e una diminuzione della forza della coscia indolenzita. L’utilizzo dello stretching non modificò alcun para-metro. Gli Autori arrivarono alla conclusione che lo stretching non risulta efficace per prevenire gli indolenzimenti. Wessel, Wan (1994) hanno studiato anch’essi l’effetto dello stretching eseguito dopo lo sforzo senza trovare alcunché di significativo.
  • Stretching eseguito durante lo sforzo

Abbiamo già riferito che Wiemann e altri (1995) utilizzarono, durante le sedute di potenziamento muscolare, alcuni esercizi di stiramento passivo a carico di una sola gamba. L’arto stirato risultò essere più indolenzito dell’altro. Lo stiramento passivo aggiunge quindi altri microtraumi a quelli legati allo sforzo eccentrico (Evans, Cannon 1987; Friden, Lieber 1992).

In conclusione: Herbert, Gabriel (2002) partendo dagli studi precedentemente citati hanno realizzato una “review” molto approfondita sull’argomento “indolenzimenti e stiramenti”. La sintesi delle conclusioni dei loro studi è riportata nella figura 2.





  • 2.2.3 Stretching e parametri muscolari:

effetti negativi degli stiramenti sul recupero 
Wiemann e Klee (2000) hanno riscontrato che gli esercizi di stiramento comportano delle tensioni muscolari elevate e questo si verifica ad escursioni articolari non abituali per il soggetto; ciò comporta dei microtraumi a livello della struttura intima del muscolo, in particolare a carico della Titina, “La titina è la terza proteina più abbondante nel muscolo, dopo la miosina e l'actina, e un essere umano adulto del peso di 80 kg ne contiene approssimativamente una quantità di 0,5 kg. È costituita da una sequenza di circa 27.000-33.000 amminoacidi, in relazione all'isoforma considerata”. Se si effettuano degli esercizi di stretching al termine di una partita, durante la quale i muscoli sono stati sottoposti a sforzi intensi quindi generatori di microlesioni, si rischia di aggiungere indolenzimento a indolenzimento. Non si può quindi consigliare la pratica dello stretching quale tecnica di ricupero dopo la competizione, soprattutto se il match successivo risultasse programmato entro due giorni dal precedente. 
Gli esercizi di allungamento alla fine del match possono al massimo essere giustificati come “lavoro di scioltezza”, accettando i disagi muscolari a breve termine, ma confidando nei miglioramenti a medio termine. Nel contesto dell’allenamento gli esercizi di stiramento sarebbero quindi da inserire alla fine della seduta, quale mezzo per il miglioramento della mobilità articolare, e non come metodo adatto a favorire la capacità di recupero. Se gli effetti degli stiramenti sulla capacità di recupero sembrano sconsigliarne l’uso, si possono, come appena descritto, ricercare esiti positivi legati agli stiramenti sia a livello muscolare e neuromuscolare. Secondo Guissard (2000), durante la fase di recupero: “gli stiramenti passivi sarebbero da raccomandare poiché restituirebbero estensibilità a muscoli e tendini non-ché mobilità alle articolazioni”:

  • effetti a livello muscolare:

l’attività fisica aumenta la rigidità passiva del muscolo. Hagbarth e collaboratori (1985) hanno indagato le variazioni della rigidità dei muscoli flessori delle dita. Dopo un’azione muscolare concentrica la rigidità ha tendenza ad aumentare, mentre con un’azione eccentrica essa diminuisce. Lakie, Robson (1988) studiarono, agendo sul metacarpo, la rigidità dei muscoli estensori nell’avambraccio in situazione di rilasciamento. Se prima di ogni misura della rigidità (realizzata a 0, 30, 60 e 180 secondi) si effettuano delle azioni eccentriche ripetute o delle oscillazioni passive, la rigidità diminuisce nel tempo. Al contra-rio, le contrazioni ripetute, sia concentri-che sia isometriche aumentano la rigidità dei muscoli interessati. Questo è stato confermato da Klinge e coll. (1996) che studiarono sugli ischio-crurali gli effetti di un allenamento di forza con modalità isometrica. L’allenamento alla forza aumenta-va la rigidità muscolare e non modificava l’aspetto viscoelastico.
Una competizione intensa (per esempio un match di sport di squadra) comporta un aumento della rigidità muscolare. Magnus-son (1998) ha dimostrato che già quattro o cinque stiramenti determinano una diminuzione della rigidità muscolare nel corso di una seduta di allenamento. Si può quindi pensare che, dopo una com-petizione, esercizi di stiramento di mode-sta ampiezza possano favorire  una diminuzione della rigidità muscolare e il rilasciamento del muscolo.
  • Effetti a livello neuromuscolare:

gli studi condotti da Guissard e collabora-tori (1988) hanno dimostrato che gli stira-menti del muscolo soleo favoriscono il rilasciamento muscolare, a causa di una diminuzione dell’attivazione dei motoneuroni. Tuttavia le tecniche più efficaci per diminuire l’eccitabilità muscolare sono le tecniche cosiddette CR (contrazione-rilasciamento) e AC (contrazione del muscolo agonista). Esempio: durante un esercizio di allungamento dei muscoli ischio-crurali, eseguito flettendo il busto sulle cosce, si esegue, contemporaneamente alla flessione, una contrazione dei quadricipiti. Alcuni Autori chiamano questa azione “co-con-trazione dei muscoli antagonisti” perché eseguita con gli antagonisti dei muscoli che si stanno stirando, Le tecniche appena descritte, dato che comportano una sollecitazione eccentrica del muscolo stirato (Hutton 1994), presentano effettivamente degli inconvenienti per il recupero musco-lare immediato.
  • Effetti antalgici:

gli atleti sono soliti effettuare esercizi di stretching dopo la competizione perché avvertono una sensazione soggettiva di diminuzione degli indolenzimenti. Come si spiega questo fatto? A questo proposito le argomentazioni suggerite da Shier (1999) sull’effetto antalgico dello stretching risultano molto interessanti: gli stiramenti, desensibilizzando i recettori del dolore, danno agli atleti una sensazione di sollievo.
In conclusione: lo stretching produce degli effetti sul rilasciamento muscolare (diminuzione della rigidità muscolare e diminuzione dell’attivazione dei moto-neuroni). Bisogna tuttavia mettere in relazione questi aspetti positivi con i rischi precedentemente descritti. Per alcune discipline sportive l’utilizzo degli esercizi di stretching può trovare la sua ragion d’essere. 
  • 2.3 Conseguenze pratiche (suggerimenti applicativi)

Gli esercizi di allungamento muscolare possono essere effettuati dopo la competizione o durante l’allenamento (il loro uso in allenamento o dopo la gara rappresenta in ogni caso una soluzione migliore rispetto a quella di impiegarli prima della com-petizione). Tuttavia le ragioni che giustificano l’uso dello stretching dopo la competizione, perché in tal modo migliorerebbe il recupero, non è validata dai dati scientifici a disposizione. È, quindi, sconsigliato inserire gli stiramenti cosiddetti da “recupero” alla fine di una gara o un match, soprattutto se è prevista un’altra gara uno o due giorni dopo, come capita sovente durante i Campionati internazionali, per esempio di pallacanestro, pallamano, pallavolo… Questo perché si aggiungerebbero eventi microtraumatici ai “traumatismi” muscolari normalmente generati dalla competizione stessa. Peraltro è possibile collocare una seduta di stiramenti alla fine di un allena-mento con lo scopo di “lavorare sulla scioltezza”, ma in questo caso si tratterebbe di una sequenza di lavoro (allenamento) e non di recupero (post-allenamento). Per favorire il recupero, invece, noi suggeriamo una modalità di lavoro molto simile al cosiddetto “riscaldamento russo”. Questa forma di lavoro consiste nell’effettuare delle serie di azioni concatenate “contra-zione-rilasciamento” dei diversi gruppi muscolari che sono stati sollecitati durante la competizione. Sono consigliate le posi-zioni a gambe sollevate per facilitare il ritorno venoso. Le serie saranno composte da 10 a 15 ripetizioni con resistenze blande (qualche volta  solamente il peso dell’arto mobilizzato), con velocità di esecuzione lenta, onde evitare i movimenti di tipo balistico, e sarà mantenuta una minima tensione nel muscolo durante tutta la contrazione; il rilasciamento invece dovrà essere ben marcato per facilitare la circolazione. Nella figura 3 sono illustrati due esercizi per muscoli quadricipiti e ischiocrurali. Anche l’uso dell’elettrostimolazione, se si utilizzano i programmi specifici per il “recupero”, può costituire un mezzo interessante per migliorare la circolazione. La corsa lenta è invece da sconsigliare poi-ché le sollecitazioni muscolari che il gesto del correre impone ai quadricipiti, tricipiti e ischio-crurali risulta di debole ampiezza per favorire quell’effetto “pompa” dei muscoli che potrebbe migliorare il drenaggio del sangue. Secondo Masterovoi (1964), le contrazioni dei quadricipiti e dei tricipiti sono pressoché isometriche e l’attività degli ischio-crurali quasi nulla. Masterovoi, infatti, aveva modificato il movimento della corsa lenta e studiato un’altra modalità di corsa, da lui definita sperimentale, con delle azioni muscolari più specifiche e adatte a sollecitare i principali gruppi muscolari (flessione accentuata del ginocchio per sollecitare quadricipiti e ischiocrurali e rullata attiva tallone-pianta per il tricipite surale). Questo tipo di corsa si può anche eseguire sul posto.
Indirizzo degli Autori: G. Cometti, UFR STAPS Digione, BP 27877, 21078, Digione Cedex (Fran-cia); L. Ongaro, G. Alberti, Istituto di Esercizio fisico, salute e attività sportiva, Facoltà di Scien-ze Motorie, Università degli Studi di Milano, Via Kramer 4/A, 20129, Milano).

Commenti

Post popolari in questo blog