mercoledì 1 maggio 2024

 

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA



Dipartimento di Scienze Biomediche

Corso di Laurea Triennale in Scienze Motorie 

Tesi di Laurea 

Relatore: Prof. Francesco Pagano 
Laureando: Riccardo Catapano



L’ALLENAMENTO DELLA FORZA IN ETÀ EVOLUTIVA 







Prima di iniziare a parlare dei contenuti effettivi di un’ipotetica programmazione per l’allenamento della forza vale la pena soffermarsi su altri due argomenti di rilevanza, che risultano essenziali per chi pianifica l’attività dei giovani e per capire quali esercizi svolgere e come svolgerli. Si tratta del sesso e dell’età dei soggetti, due fattori che sono stati già accennati quando si è parlato del miglioramento della performance atletica a lungo termine, e che sono stati anche considerati fattore di rischio nello studio riguardo agli infortuni e alla probabile correlazione con la sindrome da overtraining. Differenze tra maschi e femmine Durante l’infanzia la forza dei maschi e delle femmine cresce in maniera relativamente lineare, e dipende esclusivamente dalla maturazione del sistema nervoso centrale (reclutamento delle unità motorie, frequenza di scarica, sincronizzazione…). La questione cambia all’inizio dell’adolescenza, quando per i maschi entrano in gioco a favore anche i cambiamenti strutturali dati dall’aumento delle concentrazioni ormonali di testosterone e GH (che portano all’incremento dell’altezza, della massa corporea ed in parte anche della massa muscolare), mentre le femmine continuano a svilupparsi in maniera più lineare. Altre due precisazioni vanno fatte riguardo al genere femminile: la prima riguarda che qualora ci fossero scarsi adattamenti neuromuscolari in corrispondenza con la crescita muscolo-scheletrica potrebbero insorgere anomalie nella struttura delle articolazioni e potrebbero aumentare i fattori di rischio (abbiamo visto, ad esempio, come un programma pre-abilitativo di strength-training, condizionamento cardiovascolare e flessibilità possa prevenire gli infortuni al legamento crociato anteriore); la seconda invece che lo strength-training possa permetterci di misurare indicativamente l’impennata di crescita in termini di forza, potenza e coordinazione (cosa che nei maschi, diversamente, risulta più semplice da vedere anche senza allenare la forza) (Lloyd et al., 2014). Nel 2009 uno studio ha voluto misurare la tensione specifica del quadricipite in 20 soggetti adulti e 20 bambini (divisi equamente tra maschi e femmine). La tensione specifica è stata calcolata come il prodotto tra la forza espressa dal muscolo ed il coseno dell’angolo di pennazione del muscolo, il tutto diviso per la sezione trasversa fisiologica (essendo il quadricipite un muscolo dotato di 4 capi, nel calcolo sono stati considerati l’angolo e la sezione trasversa per ognuno di essi). La forza del muscolo è stata misurata mediante MVC in estensione di ginocchio, andando ad escludere un’eventuale co-attivazione dei muscoli antagonisti (ovvero i flessori del ginocchio, in questo caso) tramite elettromiografia, mentre la sezione trasversa fisiologica è stata calcolata mediante risonanza magnetica. Si è visto come la forza muscolare espressa e la sezione trasversa siano state maggiori per gli uomini (11,4 kN, 214 cm²) rispetto alle donne (8,7 kN, 152 cm²), mentre non ci sono state differenze sostanziali tra bambini (5,2 kN, 99 cm²) e bambine (6,1 kN, 102 cm²), dimostrando quanto precedentemente affermato. Infine, la tensione specifica è risultata simile per tutti i gruppi (55±11 N cm-² per gli uomini,  57,3±13 N cm-² per le donne,  54±14 N cm-² per i bambini e  59,8±15 N cm-² per le bambine), dimostrando che l’aumento della forza muscolare successivamente alla maturazione non è dovuta ad un aumento della tensione specifica del muscolo, ma piuttosto (come trattato in precedenza riguardo ai cambiamenti strutturali maschili in adolescenza) ad un aumento delle dimensioni di quest’ultimo.


I benefici dell’allenamento della forza in età giovanile sono molteplici e vengono riconosciuti sempre di più col passare degli anni, tant’è che ad esempio numerosi bambini e ragazzi che entrano a far parte del mondo dell’agonismo richiedono una sempre maggiore prestanza fisica per poter accompagnare le esigenze poste dai programmi di allenamento in relazione allo sport specifico di riferimento. In generale possiamo racchiuderli tutti in tre grandi categorie: il miglioramento della performance, la salute e promozione di uno stile di vita sano e la prevenzione degli infortuni.
Come già anticipato, nella maggior parte dei casi il miglioramento della forza muscolare in età evolutiva sarebbe attribuibile non tanto all’aumento della dimensione delle fibre muscolari (ipertrofia), quanto ai fattori neuromuscolari coinvolti come il reclutamento delle unità motorie. A riguardo è stato condotto uno studio nel 1994 in cui 16 ragazzi di circa 10 anni (8 maschi e 8 femmine) sono stati suddivisi casualmente in gruppo di controllo e gruppo sperimentale: il gruppo sperimentale ha svolto 3 serie da 7-11 ripetizioni di curl con manubri (un esercizio principalmente per il bicipite brachiale) 3 volte alla settimana per 8 settimane, ed all’inizio e alla fine di ogni seduta è stata misurata la forza isotonica (a tensione costante), la forza isocinetica (a velocità costante), l’elettromiografia del bicipite brachiale (l’attività elettrica del muscolo, per vedere quanto è coinvolto) e la circonferenza del braccio. Alla fine il gruppo di controllo non ha dimostrato cambiamenti significativi, mentre quello sperimentale ha migliorato la forza isotonica del 22,6%, quella isocinetica del 27,8% e l’attività elettromiografica del bicipite brachiale del 16,8%, senza invece ottenere cambiamenti corrispondenti per quanto concerne la circonferenza del braccio (Ozmun et al., 1994). Ciò nonostante, non è da escludere che adolescenti aventi una quantità sufficiente di androgeni circolanti (quindi durante e dopo la pubertà) possano sfruttare a loro vantaggio anche lo sviluppo di massa muscolare derivata da un allenamento della forza, anche se attualmente sono necessari ulteriori accertamenti a riguardo. Nel 2013, ad esempio, 134 giovani calciatori d’elitè, divisi in categoria A (under 19), B (under 17) e C (under 15), sono stati coinvolti per svolgere il primo studio in assoluto che includesse un allenamento della forza per un periodo prolungato di oltre due anni. Ciascuna categoria è stata divisa in due sottogruppi: il gruppo di controllo, che doveva svolgere regolarmente solo gli allenamenti di calcio abituali, e quello dello strength training, che in aggiunta avrebbe dovuto svolgere due allenamenti di forza alla settimana (più precisamente periodizzati in una fase di ipertrofia e un’altra di coordinazione intramuscolare). Gli allenamenti in questione dovevano comprendere front squat e back squat (due esercizi di gambe) una volta alla settimana, i quali sarebbero poi stati utilizzati nei test come esercizi di valutazione ad inizio studio e a fine studio insieme ad uno sprint sui 30m. In aggiunta, è stata raccolta una serie di dati antropometrici col fine di valutare anche le modificazioni strutturali dei soggetti. Basandosi sui dati ottenuti alla fine dello studio, i gruppi dello strength training nelle categorie A e B hanno ricavato un miglioramento della forza maggiore del 56%-80% rispetto ai gruppi di controllo delle stesse. Diverso è il caso del gruppo dello strength training della categoria C, con un miglioramento maggiore del 230%-250% rispetto al suo gruppo di controllo. Il motivo di tale notevole incremento è attribuibile ai cambiamenti morfologici e strutturali tipici dell’età di riferimento, infatti in questa categoria vennero rilevati marcati aumenti di peso e delle dimensioni corporee nel corso dell’esperimento, e come già spiegato l’aumento del numero di fibre muscolari influisce positivamente sulla produzione di forza. Ciò che però non ci fornisce un dato attendibile al 100% sull’utilizzo dello strength training in età giovanile per lo sviluppo dell’ipertrofia è appunto il fatto che non sappiamo se essa sia derivata esclusivamente dalla mera evoluzione biologica oppure da effettivi miglioramenti causati dall’allenamento effettuato dal gruppo dello strentgh training (Sander et al., 2013). Fatta questa premessa, possiamo effettivamente spiegare come lo strength training possa tornarci utile nel campo pratico durante lo sviluppo a lungo termine di un atleta sia per quanto riguarda lo status di fitness generale che per la propria disciplina sportiva. Numerose ricerche hanno ormai constatato come l’allenamento della forza in età giovanile produca, logicamente, maggiori incrementi per quanto riguarda l’espressione pura della forza, ma anche leggeri-moderati incrementi sulla potenza, sulla resistenza muscolare e sulla performance atletica, sempre in relazione all’età e al sesso specifico di riferimento (Granacher et al., 2016). Ora si entrerà nel dettaglio per ciascuna di queste quattro capacità: 

Forza muscolare: 

l’esperimento svolto dai 134 calciatori già citato precedentemente basterebbe per confermare questa tesi, vista la durata dello studio ed i risultati ottenuti in termini di miglioramento dell’1RM, ma ad avvalorare quest’ultima si può citare anche un altro esperimento svolto questa volta nel mondo del basket e con tre gruppi sperimentali invece di due. Nel 2012, 38 giovani giocatori di basket (17 maschi e 21 fondamentale per i processi di modellamento e rimodellamento osseo in relazione alla BMD (Bone Mineral Density) durante l’età evolutiva (Faigenbaum et al., 2009). Nel 2006 uno studio longitudinale durato 2 anni ha permesso di analizzare gli effetti dell’allenamento con sovraccarico mediante la correlazione tra forza muscolare (da cui origina la maggior fonte di carico per il tessuto osseo) e la BMD. 258 ragazze tra i 10 e i 13 anni (ciascuna con 1-5 ore di allenamento con sovraccarico alla settimana) sono state sottoposte ad una serie di misurazioni prima e dopo due anni, tra cui la BMD mediante DEXA e la MVC (Maximal Voluntary Contraction) dei flessori del gomito e degli estensori del ginocchio mediante dinamometro. Alla fine tramite una retta di regressione lineare si è visto come questi due dati fossero strettamente correlati sia per le braccia che per le gambe (BMD aumentata del 35% ± 12% per le braccia, 39% ± 11% per le gambe, MVC aumentata del 24% ± 16% per i flessori del gomito, 33% ± 22% per gli estensori del ginocchio), e inoltre, il coefficiente di correlazione non differiva tra arti superiori e inferiori (r²=0,54 braccia ed r²=0,50 gambe). Tuttavia, il rapporto BMC/MCV era maggiore del 30% per le gambe rispetto alle braccia (0,97 contro 0,70), stando ad indicare un effetto del sovraccarico più alto negli Potenza muscolare: la pliometria è una tecnica di allenamento della forza basata sul principio che un brusco allungamento durante la fase eccentrica di uno o più muscoli risulti in un accorciamento rapido degli stessi durante la fase concentrica se eseguita subito dopo. Ne consegue, che entrambe le componenti della potenza (già menzionate in precedenza) vengono stimolate adeguatamente durante un allenamento di tipo pliometrico, e che quindi quest’ultimo risulti essere un tassello fondamentale per la potenza durante lo sviluppo a lungo termine di un atleta (Granacher et al., 2016). A confermare ciò, possiamo citare uno studio condotto nel 2009 che indagava sugli effetti della pliometria per le azioni esplosive di alcuni giovani calciatori. Sono stati chiamati a rapporto 14 giovani giocatori per far parte del gruppo dello strength training e 11 invece per il gruppo di controllo, tutti di età comrpesa tra i 12 e i 14 anni e tutti facenti parte della stessa squadra con due allenamenti di calcio a settimana da 90 minuti. Il primo gruppo, però, differentemente dal secondo ha svolto un programma pliometrico di 8 settimane che non si aggiungeva ai due allenamenti ma si sostituiva ad alcuni esercizi contenuti in essi (in sostanza, il tempo totale di allenamento è stato uguale per i due gruppi nel corso dello studio). Il programma comprendeva esercizi quali salti, salti a ostacoli, rimbalzi, skip e movimenti rapidi di gambe, mentre i test iniziali e finali di nostro interesse comprendevano lo squat jump (salto partendo da posizione statica a 120° di flessione di ginocchio), il counter movement jump (salto partendo a gambe tese e scendendo fino a 120° di flessione di ginocchio prima di risalire) e il contact jump (salto effettuato al contatto col terreno subito dopo aver saltato un ostacolo di 20 cm). Alla fine è stato registrato un incremento nell’altezza del CMJ del 7,9% e del CJ del 10,9% da parte del gruppo strength training rispetto a quello di controllo, dimostrando l’efficacia della pliometria per il miglioramento della performance in termini di forza e velocità (Meylan & Malatesta, 2009). 

Resistenza muscolare: 

si può considerare come l’abilità di esprimere una certa percentuale di forza submassimale, costante o ripetuta, per un determinato periodo di tempo resistendo alla fatica. Un esempio pratico è quello degli 800metristi, dove c’è bisogno di mantenere un’alta velocità nel movimento della corsa minimizzando però allo stesso tempo la fatica che andrebbe a diminuire il rendimento. Sebbene gli effetti positivi dello strength training nei confronti della resistenza siano inferiori e meno documentati rispetto a quelli per la forza e potenza muscolare, si può comunque tenere in considerazione quando si parla di miglioramento della performance grazie all’allenamento della forza (Granacher et al., 2016). Nel 2015, 20 giovani nuotatori nazionali dello stesso club sportivo (10 maschi e 10 femmine dai 15 ai 17 anni) sono stati reclutati per studiare gli effetti di un programma di allenamento specifico per il core (complesso di muscoli a livello lombo-addominale e pelvico con la funzione prima di stabilizzare il corpo durante il movimento), che avrebbe dovuto influire positivamente sia sull’esercizio specifico dei 50 metri stile che sulla potenzialità del core stesso in generale. Sono stati divisi poi in gruppo di intervento e gruppo di controllo, ciascuno avente 5 maschi e 5 femmine, dove mentre il secondo continuava a svolgere regolarmente solo il programma di allenamento in acqua il primo aggiungeva un allenamento specifico per il complesso lombopelvico e per le scapole 3 volte alla settimana per 12 settimane (con esercizi come il prone bridge, il side bridge, il bird dog, il leg raise…). Dopo aver effettuato i test sia all’inizio che alla fine dell’esperimento, si è notato come il gruppo di intervento rispetto a quello di controllo abbia incrementato la durata massima in secondi dell’esercizio prone bridge (2,1%16,4%), il numero massimo di ripetizioni nel pull down asimmetrico (un’esercizio principalmente per il dorsale ma con una richiesta specifica di stabilità per via dell’asimmetria, 13,7%-33,4%) e la massima contrazione volontaria dei muscoli del core (mediante elettromiografia), dimostrando che ci siano degli effetti positivi dello strength training anche sulla resistenza muscolare (Weston et al., 2015). • Performance atletica: con essa si intende l’insieme di tutti i gesti tecnici, i movimenti complessi e le tattiche in relazione ad uno specifico sport di riferimento, come ad esempio il tiro nel calcio, il servizio nel tennis, la partenza nel nuoto… La forza massimale o submassimale, la potenza e la forza resistente possono tornare utili per migliorare queste abilità e rispondere in maniera più efficace alle richieste imposte dagli allenamenti e dalle competizioni atletiche a lungo termine (Granacher et al., 2016). Basta prendere come esempio esplicativo gli studi già citati precedentemente: in quello di Klusemann sul basket, il gruppo dello strength training supervisionato e con video hanno migliorato del 3-5% ± 2-4% la propria prestazione in test specifici come il salto verticale, lo sprint sui 20 metri e lo yo-yo test rispetto al gruppo di controllo (Klusemann et al., 2012); con Meylan e Malatesta i giovani calciatori sottoposti a pliometria hanno ridotto significativamente i loro tempi nello sprint sui 10 metri (22,1%) e in un test di agilità (29,6%) (Meylan & Malatesta, 2009); infine, Weston nel suo studio ha dimostrato per la prima volta come un allenamento specifico per il core possa migliorare le tempistiche nei 50 metri stile (diminuzione del tempo impiegato da parte del gruppo di intervento dello 0,2%-3,8%) (Weston et al., 2015). Facendo riferimento all’esempio del tiro nel calcio, è stato condotto un altro studio nel 2014 che tra i vari test presi in esame si proponeva anche di valutare l’eventuale miglioramento della massima distanza di tiro in seguito ad una programmazione di tipo pliometrico. Sono stati chiamati 76 giovani calciatori di età compresa tra i 12 e i 15 anni, di cui 38 hanno continuato a svolgere i loro due allenamenti di calcio alla settimana regolari (gruppo di controllo) mentre gli altri hanno implementato 7 settimane di allenamento pliometrico (gruppo di allenamento). Tra l’inizio e la fine è stato registrato un miglioramento del 14% da parte di quest’ultimo per quanto riguarda la MKD (Maximal Kicking Distance), dimostrando come un allenamento di tipo pliometrico possa essere utile in alternativa agli esercizi tipici del calcio per il miglioramento della forza e della potenza (Campillo et al., 2014). 

Quando cominciare? 

Innanzitutto bisogna fare una premessa riguardo all’età come dato da tenere in considerazione per programmare l’attività sportiva. A causa dell’alta soggettività per quanto concerne la crescita e la maturazione in età giovanile, bambini e ragazzi della stessa età cronologica (cioè l’età effettiva del soggetto) possono invece variare in maniera considerevole per quanto riguarda l’età biologica (età che si può attribuire ad un soggetto per le sue caratteristiche morfologiche e funzionali), fino ad arrivare a differenze di addirittura 4-5 anni. Ne consegue che l’età cronologica sia un debole indicatore dello sviluppo e preparazione del nostro giovane atleta, e che quindi all’interno delle programmazioni a lungo termine sia più idoneo utilizzare l’età biologica come punto di riferimento piuttosto che effettuare gruppi e classificazioni in base agli anni (Lloyd et al., 2014). In ogni caso, l’ASCA nel suo documento di posizione dà un’opinione in merito all’età più adatta per approcciarsi allo strength-training. Essa sostiene che se un bambino è in grado di svolgere attività strutturate ed organizzate come calcio, basket, rugby… allora allo stesso tempo può ritenersi già pronto per svolgere anche un programma supervisionato di strength-training, quindi la differenza non la fa tanto l’età in sé quanto la capacità di saper seguire le istruzioni. Alcuni bambini potrebbero addirittura vedere la sala pesi come una grande stanza dei giochi dove correre e lanciare gli oggetti senza applicare l’impegno e la concentrazione necessari per allenarsi e seguire le indicazioni del proprio allenatore, il che potrebbe essere pericoloso e deleterio se si considera la presenza di pesi, dischi e macchinari (che, come abbiamo visto, potrebbero costituire il più comune fattore di rischio per l’allenamento della forza in età evolutiva, ovvero gli incidenti). In caso contrario, un bambino in grado di ascoltare le indicazioni fornite e mettere in atto il comportamento più adeguato per mantenersi in sicurezza può entrare nel mondo dello strength-training se ha compiuto almeno 6 anni, l’età di accesso alla scuola elementare (Wilson et al., 2017).  Ad avvalorare questa tesi c’è uno studio effettuato dal più volte citato autore Avery D. Faigenbaum per valutare la sicurezza ed efficacia del test 1RM per i bambini e per gli adolescenti. 32 bambine/ragazze e 64 bambini/ragazzi tra i 6,2 ed i 12,3 anni hanno effettuato una serie di test massimali sotto la supervisione di un personale qualificato nei seguenti esercizi: panca piana, chest press (due esercizi per la parte alta), leg press e leg extension (due esercizi per la parte bassa). Alla fine, ciascun soggetto ha svolto il test e ricavato il dato di interesse senza incorrere in infortuni od incappare in altre problematiche (ad eccezione di un partecipante, che non ha potuto svolgere i test degli arti inferiori per via di una patologia ortopedica), quindi anche un bambino che ha da poco compiuto 6 anni d’età può esprimere alti livelli di forza senza dover necessariamente scontrarsi con effetti collaterali (Faigenbaum et al., 2003). Oltre all’età cronologica e biologica, va presa in considerazione anche la cosiddetta “training age” (che nelle 14 linee guida è stata definita come “esperienza d’allenamento”), che appunto rappresenta la quantità di tempo impiegata nell’allenamento in generale o in relazione ad un determinato sport. Con un ragazzo adolescente che non ha mai sperimentato prima un allenamento della forza bisognerà avere un approccio completamente diverso da quello che si potrebbe avere con un bambino di 10 anni che, seppur più piccolo, ha già una tecnica consolidata (Lloyd et al., 2014). Nel caso del ragazzo adolescente, indipendentemente dall’età, bisognerà approcciare la tecnica dei fondamentali e sviluppare un livello di forza generale prima di inserire nell’allenamento gli esercizi indicativamente adatti alla sua età cronologica (poiché gli mancano delle basi solide). Nel caso del bambino, che dimostra eccellenti qualità in forza, potenza e velocità mantenendo sempre una tecnica corretta, si potrà invece inserire diverse tipologie di esercizi anche idonee alla sua età (Lloyd & Oliver, 2012). In ogni caso, il periodo ideale nel quale sviluppare le competenze motorie di base dovrebbe essere l’infanzia poiché la coordinazione neuromuscolare è più soggetta a trasformazioni: da bambini avviene una rapida maturazione del cervello, quindi potenziare gli schemi motori fondamentali nel periodo in cui hanno luogo il rafforzamento delle connessioni neurali e il deterioramento delle sinapsi meno efficienti ed utilizzate (fenomeno del “pruning” sinaptico) risulta cruciale per lo sviluppo a lungo termine dell’atleta (Lloyd et al., 2014). 
Siamo giunti alla conclusione di questa produzione scritta, nella speranza che la lettura sia stata utile per conoscere o approfondire le tematiche dell’allenamento della forza in età evolutiva in maniera più dettagliata, avendo tra le mani delle fonti scientifiche attendibili. C’è da dire comunque che questo è un campo per alcuni versi inesplorato, sebbene si possa confermare ormai con certezza che le dicerie ancora diffuse nella popolazione riguardo a bambini e adolescenti siano prive di fondamento. Quando si è trattato di salute e stato di fitness, ad esempio, è emerso come siano insufficienti o comunque poco chiare le informazioni riguardo al profilo lipidico del sangue e alla fitness cardiovascolare, tant’è vero che nel documento di posizione della NSCA è indicato che ulteriori ricerche dovrebbero dare delucidazioni sui meccanismi responsabili dei benefici salutistici  associati allo strength-training, oltre ai potenziali benefici di quest’ultimo nei confronti di giovani con diabete, cancro, disabilità intellettive ecc. (Faigenbaum et al., 2009). Lo studio di Sander et al. riguardo ai giovani calciatori rimane attualmente l’unico che abbia preso in considerazione un programma di allenamento della forza così lungo (2 anni), e di conseguenza l’unico che abbia effettivamente avuto modo di valutare l’efficacia dell’applicazione di diverse metodologie per la performance nella corsa sui 30 metri, senza contare il fatto che (come già spiegato) non si è potuta dare una risposta al quesito che riguarda la presunta correlazione tra il miglioramento dell’1RM e l’effettivo aumento di massa muscolare dovuto agli allenamenti (Sander et al., 2013). O ancora, nello studio di Bostrom et al. relativo al sovrallenamento, il questionario compilato dai ragazzi non ha permesso di evidenziare altri sintomi propri della patologia (come la fiacchezza o l’irascibilità), ma solo ed esclusivamente gli infortuni riscontrati. Inoltre, quest’ultimi sono stati direttamente correlati ad un numero eccessivo di ore svolte nel praticare l’allenamento della forza in modo scorretto, ma nulla vieta di pensare che abbiano semplicemente influito anche altri fattori di rischio correlati all’assenza di supervisione (come l’uso improprio degli attrezzi o una tecnica inadeguata) (Bostrom et al., 2015). In definitiva, l’argomento ha sicuramente bisogno di ulteriori ricerche in merito, con la speranza che esse possano servire ai giovani per esprimere sempre di più il loro potenziale e per mantenersi in salute nei limiti delle loro possibilità. Una cosa è certa: la veridicità di quanto affermato inizialmente sull’idoneità, la sicurezza e l’efficacia dello strength-training in età evolutiva, è ormai dimostrata.  



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