giovedì 12 gennaio 2023

TEORIA DELLA MOTIVAZIONE





Abraham Maslow è stato uno psicologo statunitense nato il primo aprile del 1908, a New York City. Maslow era il primogenito di una coppia di ebrei immigrati negli Stati Uniti dalla Russia che vissero per diversi anni a Brooklyn. Lo caratterizzano gli studi sulla motivazione. Lo psicologo elaborò una classificazione gerarchica della motivazione con bisogni primari e secondari. Maslow per diversi anni lavorò al Brooklyn College dove diede un grosso contributo allo studio della motivazione e alla psicologia umanistica, della quale è considerato il padre Abraham Maslow, inoltre, sostiene che non tutti i comportamenti sono motivati dai bisogni fondamentali. Infatti, ci sono dei comportamenti motivati da stimoli esterni o puramente espressivi. In sostanza, esistono diversi gradi di motivazione, per questo si possono avere comportamenti molto motivati e altri meno. In ogni caso, la motivazione è il motore che muove ogni essere vivente alla soddisfazione di un dato bisogno e da cui riesce a trarre gratificazione personale. Maslow afferma che dopo una lunga gratificazione i bisogni fondamentali più alti possono divenire indipendenti dai loro prerequisiti e dalla propria stessa gratificazione. Questo vuol dire che alcuni aspetti della persona sono divenuti autonomi, cioè indipendenti dalle stesse gratificazioni che li hanno prodotti. La motivazione, dunque, può essere definita come l’insieme dei fattori alla base del comportamento che inducono una persona ad agire per il raggiungimento di uno scopo. La motivazione dipende dalle competenze, cosa si è in grado di fare e dai valori personali, ovvero ciò che si vuole fare. L’impulso motivazionale si ha ogni volta che l’individuo avverte un bisogno, che rappresenta la percezione di uno squilibrio tra la situazione attuale e una situazione desiderata. Il bisogno è quindi uno stato di insoddisfazione che spinge l’uomo a procurarsi i mezzi necessari per riuscire a realizzarlo o sublimarlo. L’articolo tratto dal libro “Motivazione e Personalità”  Questo saggio è un testo essenziale per comprendere i presupposti teorici e gli obiettivi terapeutici e conoscitivi di uno degli indirizzi centrali della psicologia e della personalità. Il file completo lo potete trovare cliccando sul link sottostante Buona lettura.

Stefano Lorusso 



INTRODUZIONE ALLA TEORIA DELLA MOTIVAZIONE


 L'individuo come totalità integrata La nostra prima proposizione stabilisce che l'individuo è un tutto integrato, organizzato. Questo asserto teorico viene ordinariamente accettato molto devotamente dagli psicologi, che poi con tutta calma lo trascurano negli esperimenti effettivi. E' però necessario che ci si renda conto che questa 


è una realtà sperimentale e teoretica, se si vuole che siano possibili una valida sperimentazione ed una seria teoria della motivazione. Nella teoria della motivazione questa proposizione vuol dire varie cose specifiche. Ad esempio significa che l'individuo è motivato nella sua interezza e non soltanto in una parte di sé. In una buona teoria non esiste nessuna entità come le esigenze delio stomaco, della bocca o dei genitali. C'è solo un'esigenza dell'individuo. E' John Smith che ha bisogno di cibo, non lo stomaco di John Smith. Inoltre la soddisfazione interessa l'intero individuo e non una sua parte soltanto. Il cibo soddisfa la fame di John Smith e non la fame del suo stomaco. Il trattamento della fame di John Smith come di una funzione della sua sola parte gastrointestinale ha fatto si che si trascurasse il fatto che quando un individuo ha fame, muta non solo nella sua funzione gastrointestinale, ma in molte altre delle funzioni di cui è capace, forse nella maggior parte di esse. La sua percezione muta (percepisce il cibo più prontamente che in altri momenti). Muta la sua memoria (è più disposto a ricordare un buon pranzo in questa occasione che in altre). Le sue emozioni mutano (è più teso e nervoso che in altre occasioni). Muta il contenuto dei suoi pensieri (è più facile che pensi a procurarsi del cibo che a risolvere un problema d'algebra). Questo elenco può essere esteso a quasi tutte le sue facoltà, capacità o funzioni fisiologiche e psichiche. In altre parole, quando John Smith ha fame, è tutto intero affamato ed è diverso da quello che è in altre occasioni.


La fame come paradigma 


La scelta della farne come paradigma per tutti gli altri stati di motivazione è teoreticamente e praticamente sbagliata. Un'analisi più accurata può mostrare che la fame è più un caso speciale che un caso generale di motivazione. E' più isolata (usando questa parola come è usata dai gestaltisti e dai goldsteiniani) delle altre motivazioni, è meno comune di esse e differisce dalle altre motivazioni per il fatto che ha una base somatica conosciuta, che non si trova frequentemente negli altri stati motivazionali. Quali sono le motivazioni immediate più comuni? Possiamo vederle con suficiente facilità mediante l'introspezione durante il corso di una giornata ordinaria. I desideri che affiorano alla coscienza sono più spesso de sideri di abiti, automobili, amici, compagni, lodi, prestigio e simili. Ordinariamente questi desideri sono stati intesi come tendenze secondarie o culturali e sono stati considerati come di un ordine differente dalle tendenze "rispettabili" o primarie, cioè dalle tendenze fisiologiche. Presentemente questi desideri sono per noi molto più importanti e molto più comuni. Sarebbe, perciò, una buona cosa assumere uno di questi come paradigma invece della fame. Una tesi comune è stata che tutte le tendenze seguono l'esempio delle tendenze fisiologiche. Adesso si può facilmente affermare che non è cosi. Molte tendenze non sono isolabili, né possono essere localizzate somaticamente, neppure possono essere considerate come se fossero le uniche cose che in un certo momento accadono nell'organismo. La tendenza, il bisogno, il desiderio tipico non è probabilmente è non sarà mai in riferimento ad una base somatica specifica, isolata o localizzata. Il desiderio tipico è molto più un bisogno di tutta la persona. Sarebbe molto meglio 

assumere come modello di ricerca una tendenza come il desiderio di danaro piuttosto che quello di cibo in un affamato; piuttosto che un fine parziale sarebbe meglio scegliere un fine più fondamentale, come il desiderio di amore. Considerando tutte le prove di cui ora disponiamo, possiamo dire che probabilmente non potremmo mai capire pienamente il bisogno di amore, per quanto possiamo essere informati sull'impulso della fame. Si può dire qualcosa di più, cioè che da una piena conoscenza del bisogno di amore possiamo apprendere nei riguardi della motivazione umana in generale (compreso l'impulso della fame) più di quanto si possa apprendere con lo studio dell'impulso della fame. Qui vale la pena di ricordare l'analisi critica del concetto di semplicità, che è stata tanto spesso effettuata dagli psicologi della forma. L'impulso della fame, che sembra semplice, quando è paragonato all'impulso dell'amore non risulta poi tanto semplice a lungo andare (160). L'apparenza della semplicità può essere ottenuta scegliendo casi isolati, attività che sono relativamente indipendenti dalla totalità dell'organismo. Si può facilmente mostrare che un'attività importante ha una relazione dinamica con quasi ogni altra cosa che sia importante in una persona. Perché, allora, assumere un'attività che non è di tipo medio in questo senso, un'attività che viene scelta per essere portata all'attenzione solo perché è più facile trattarla con le nostre tecniche sperimentali di isolamento abituali (ma non necessariamente corrette), che sono anche tecniche di riduzione o di indipendenza da altre attività? Se ci troviamo a dover scegliere se trattare sperimentalmente un problema semplice ma anche banale e privo di valore, o problemi sperimentali che sono spaventosamente difficili ma importanti, certamente non dovremmo esitare a far cadere la nostra scelta su questi ultimi.


Mezzi e fini 


Se esaminiamo attentamente i desideri medi che abbiamo nella nostra vita quotidiana, troviamo che hanno almeno una caratteristica importante, cioè che sono mezzi ad un fine, piuttosto che essere fini in se stessi. Vogliamo danaro, per poter avere un'automobile. Vogliamo un'automobile, perché i vicini ce l'hanno e non vogliamo sentirci inferiori ad essi, per poter conservare la stima in noi stessi ed essere amati e rispettati dagli altri. Ordinariamente, quando viene analizzato un desiderio cosciente, troviamo che possiamo andare al di là di esso, per così dire, e trovare altri fini più fondamentali, che animano l'individuo. In altre parole abbiamo qui una situazione che è molto vicina al ruolo che hanno i sintomi in psicopatologia. I sintomi sono importanti, non tanto in se stessi, ma per ciò che in ultimo significano, cioè per quelli che possono essere i loro ultimi fini o effetti. Lo studio dei sintomi in se stessi è poco importante, ma lo studio del significato dinamico dei sintomi è importante, perché è fruttuoso, ad esempio rende possibile la psicoterapia. I desideri particolari che passano attraverso la nostra coscienza per dozzine di volte in un giorno, non sono in se stessi così importanti come lo è ciò che rappresentano, ciò a cui portano, ciò che possono significare, se si conduce un'analisi più profonda. E' caratteristico di quest'analisi più profonda, che essa porterà sempre ad alcuni scopi o bisogni, al di là dei quali non si può'andare, cioè alla soddisfazione di alcuni bisogni, che appaiono come fini in se stessi e sembrano non avere bisogno di una ulteriore giustificazione o dimostrazione. Questi bisogni, nella persona media, hanno la particolarequalità che non vengono visti direttamente molto spesso, ma sono più spesso una specie di derivazione concettuale dalla molteplicità dei desideri specifici coscienti. In altre parole lo studio della motivazione deve essere in parte lo studio degli ultimi fini, desideri o esigenze dell'uomo. Questi fatti implicano un'altra cosa che è necessaria ad una valida teoria della motivazione. Poiché questi fini non vengono visti spesso direttamente nella coscienza, siamo subito costretti a trattare l'intero problema della motivazione inconscia. Lo studio attento della vita motivazionale cosciente; da solo, trascurerà molte cose, che sono altrettanto importanti o più importanti di ciò che può essere visto nella coscienza. La psicoanalisi ha spesso dimostrato che la relazione fra un desiderio cosciente ed il fine inconscio' ultimo che ad esso soggiace non dev'essere necessariamente diretta. Di fatto può esserci una relazione negativa, come quando si forma una reazione. Possiamo allora asserire che una valida teoria della motivazione non può trascurare la vita inconscia. 


Relazioni fra motivazioni 


L'uomo è un animale pieno di esigenze e raramente raggiunge uno stato di completa soddisfazione salvo per un tempo breve. Quando un desiderio viene soddisfatto, un altro vien fuori a prendere il suo posto. Quando questo è soddisfatto, ne vien fuori ancora un altro, ecc. Una caratteristica dell'essere umano, lungo tutta la sua vita,è che praticamente egli desidera sempre qualcosa. Ci troviamo, perciò, nella necessità di studiare le relazioni fra tutte le motivazioni e nello stesso tempo siamo nella necessità di rinunziare alla considerazione di isolate unità motivazionali, se dobbiamo realizzare la comprensione che cerchiamo. Il manifestarsi di un impulso o di un desiderio, le azioni che esso provoca e la soddisfazione che nasce dal raggiungimento del fine, tutte queste cose prese insieme ci danno soltanto un esempio artificiale ed isolato dal complesso dell'unità motivazionale. Questa apparenza dipende praticamente sempre dallo stato di soddisfazione o insoddisfazione di tutte le altre motivazioni che l'organismo nella sua totalità può avere, cioè dalla soddisfazione o insoddisfazione di tutte le altre motivazioni che l'uno o l'altro desiderio intenso ha raggiunto uno stato di relativa soddisfazione. Desiderare una cosa significa che già esistono soddisfazioni di altri desideri. Noi non avremmo il desiderio di comporre musica o di creare un sistema matematico, di ornare la nostra casa, di vestirci bene, se i nostri stomachi fossero vuoti per la maggior parte del nostro tempo o se morissimo continuamente di sete o fossimo continuamente minacciati da una imminente catastrofe o se tutti ci odiassero. Non si è mai prestata la necessaria attenzione da parte di coloro che costruiscono teorie della motivazione, ad uno di questi fatti: primo, che l'essere umanonon è mai soddisfatto che alla maniera relativa di una tappa lungo un itinerario, secondo, che i desideri sem-brano disporsi in una specie di gerarchia di prepotenza. Il catalogo del desideri Dobbiamo rinunziare al tentativo di fare un catalogo atomistico dei desideri o dei bisogni. Per molte diverse ragioni tali elenchi sono teoreticamente invalidi. Prima di tutto implicano l'eguaglianza fra i vari desideri che vengono catalogati, eguaglianza di forza e probabilità di verificarsi. Qui c'è l'errore. Infatti la probabilità che affiori un desiderio alla coscienza, dipende dallo stato di soddisfazione o di insoddisfazione di altri desideri anche vivi. Ci sono grandi differenze di probabilità rispetto all'apparire dei vari desideri particolari. In secondo luogo un tale catalogo implica che ciascun desiderio sia inteso come isolato dagli altri. Ovviamente i desideri non sono affatto isolati fra loro. In terzo luogo un elenco di desideri, essendo ordinariamente effettuato su basi behavioristiche, trascura completamente tutto ciò che sappiamo sulla natura dinamica dei desideri, per esempio che i loro aspetti coscienti ed incoscienti possono essere differenti, che un particolaredesiderio può essere il canale lungo il quale possono esprimersi vari altri desideri. Questi elenchi sono assurdi anche perché i desideri non si dispongono come una somma aritmetica di membri individuali isolati, ma si dispongono in una gerarchia di specificità. Con questo s'intende che il numero dei desideri che uno sceglie di elencare, dipende interamente dal grado di specificità secondo cui uno sceglie di analizzarli. La rappresentazione esatta non sta nel presentarli come tanti bastoncini l'uno accanto all'altro, ma come un complesso di scatole ove una ne contiene altre tre ed in cui ciascuna di queste tre ne contiene altre dieci e ciascuna di queste dieci ne contiene altre cinquanta e cosi via. Un'altra analogia pud essere quella di una descrizione di una sezione istologica in vari ingrandimenti. Cosi possiamo parlare di un bisogno di gratificazione o di equilibrio; o più specificamente di un bisogno di mangiare, o ancora più specificamente di un desiderio di proteine, o ancora più specificamente di un desiderio di una particolare proteina, e così via. La maggior parte dei cataloghi che oggi abbiamo a disposizione hanno combinato indiscriminatamente bisogni a vari livelli di ingrandimento. Con una tale confusione si può capire che alcuni elenchi devono contenere tre o quattro bisogni ed altri ne contengono centinaia. Se vogliamo, possiamo far sì che un tale elenco di desideri o bisogni ne contenga da uno ad un milione, secondo la specificità dell'analisi che facciamo. Inoltre si dovrebbe riconoscere che se cerchiamo di discutere i desideri fondamentali, essi dovrebbero essere chiaramente intesi come insieme di desideri, come categorie fondamentali o collezioni di desideri. In altre parole una tale enumerazione di fini fondamentali sarebbe una classificazione astratta e non un catalogo. Inoltre tutti gli elenchi di desideri che sono stati pubblicati sembrano implicare una reciproca esclusione fra i vari desideri. Ma non esiste una mutua esclusione. Ordinariamente c'è un tale sovrapporsi dei desideri, che èquasi impossibile separare chiaramente e nettamente un desiderio dagli altri. Si deve anche notare in ogni critica di una teoria dei desideri che lo stesso concetto di bisogno nasce probabilmente da un interesse rivolto alle esigenze fisiologiche. E' facile, nella trattazione di questi bisogni, separare l'incentivazione, il comportamento motivato ed il fine. Ma non è facile distinguere un primo impulso dal fine, quando si parla di desiderio di amore. Qui l'impulso, il desiderio, il fine e l'attività sembrano essere una stessa cosa.


La classificazione della vita motivazionale


Le prove attualmente disponibili mi sembrano indicare che l'unica base valida e fondamentale, su cui è possibile costruire una classificazione della vita motivazionale, è quella dei fini o bisogni fondamentali piuttosto che gl'impulsi nel senso ordinario di spinte o istigazioni. Sono solo i fini fondamentali che restano costanti lungo tutto il flusso che la teorizzazione psicologica deve tener presente, se si vuol avere un'impostazione dinamica. Le considerazioni che abbiamo già discusse dovrebbero sostenere questa affermazione senza ulteriori dimostrazioni. Il comportamento motivato non è una buona base per la classificazione, perché abbiamo visto che esso può esprimere molte cose. Lo scopo specifico non è una buona base di classificazione per la stessa ragione. Un essere umano che desidera cibo e che si comporta in maniera appropriata per procacciarselo ed infine mastica e mangia, può spesso avere la preoccupazione di sentirsi sicuro anziché quella di ottenere cibo. Un individuo che percorre tutto il processo del desiderio sessuale, dal momento iniziale del corteggiamento all'unione effettiva con il proprio partner, può darsi che cerchi di realizzare piuttosto la stima di sé che la gratificazione sessuale. L'impulso, come appare introspettivamente nella coscienza, il comportamento motivato e perfino lo scopo palese o gli effetti ricercati non sono un fondamento valido, su cui si possa basare una classificazione dinamica della vita motivazionale dell'essere umano. Se non altro è mediante il processo della sola esclusione logica che alla fine restiamo con i fini o bisogni fondamentali prevalen temente inconsci come gli unici fondamenti validi di classificazione per una teoria della motivazione. 


L'integrazione 


Ogni teoria motivazionale deve tener conto non solo del fatto che l'organismo si comporta ordinariamente come una totalità integrata, ma anche del fatto che a volte non si comporta cosi. Ci sono specifici condizionamenti isolati e vari abiti, che hanno bisogno di spiegazione, ci sono risposte segmentali di vario genere e c'e una quantità di fenomeni di dissociazione e di mancanza di integrazione di cui abbiamo conoscenza. Inoltre l'organismo può anche reagire in maniera non unitaria nella vita quotidiana, come quando facciamo molte cose nello stesso tempo. Apparentemente l'organismo è assai unificato nella sua integrazione, quando affronta con successo o una grande gioia o un momento creativo o un grave problemao una minaccia o una situazione di emergenza. Ma quando la minaccia è schiacciante o quando l'organismo è troppo debole o incapace di affrontarla, esso tende a disintegrarsi. Nell'insieme, quando la vita è facile e coronata da successo, l'organismo può fare molte cose insieme e volgersi in varie direzioni. Sono convinto che un gran numero di fenomeni che sembrano specifici ed isolati, di fatto non lo sono. Spesso è possibile dimostrare con un'analisi più profonda che essi si collocano in maniera significativa in una struttura totale; questo avviene, ad esempio, per i sintomi isterici della conversione. Questa appariscente mancanza di integrazione pud a volte essere semplicemente un riflesso della nostra ignoranza; ma adesso ne sappiamo abbastanza per essere certi che le risposte isolate, segmentali o non integrate sono possibili in certe circostanze. Inoltre adesso va divenendo sempre più chiaro che tali fenomeni non ne cessariamente devono essere considerati come fiacchi, cattivi o patologici. Piuttosto devono essere spesso considerati come prova di una delle più importanti capacità dell'organismo, cioè della capacità di trattare le cose non importanti oi problemi familiari o facilmente risolvibili in maniera parziale, specifica o segmentale, in modo che le principali capacità dell'organismo siano ancora lasciate libere per essere impiegate in problemi più importanti o più gravi.


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