LA PRASSELOGIA MOTORIA PER UN
RINNOVAMENTO EPISTEMIOLOGICO:
DELL’ATTIVITÀ MOTORIA E SPORTIVA
alessandro.bortolotti@unibo.it
Università degli Studi di Napoli “Parthenpe”
Il presente scritto vuole introdurre una disciplina che può fornire un contributo di valore all’epistemologia dell’Educazione fisica: la Prasseologia motoria. Elaborata negli ultimi decenni del secolo scorso da Pierre Parlebas, professore parigino di sociologia ed educazione fisica, propone strumenti d’analisi che ritengo possano favorire il riconoscimento dei fattori che rendono efficace il gioco motorio e sportivo nello sviluppo personale e sociale. I temi su cui ci si sofferma riguardano in particolare: le norme sociali veico- late dal gioco motorio; le dimensioni strutturali delle relazioni sociomotorie; l’analisi degli “spazi ludici” che sorgono incrociando situazioni so- ciomotorie e condizioni ambientali. Si tratta di definizioni che favoriscono: progettazioni educative coerenti, rigorosi confronti scientifici, il fornire stimoli vari ed efficaci per lo sviluppo integrale delle persone.
Introduzione
La Prasseologia o prassilogia è la teoria che si occupa dell’’agire umano (Praxis) dal punto di vista della sua efficacia” La Prasselogia motoria (Parlebas, 1987) risulta purtroppo una disciplina poco nota al lettore italiano (1), ritengo tuttavia che la conoscenza delle sue principali tematiche e strutture portanti possa invece fornire al campo di studi e ricerche dell’Educazione fisica un importante contributo epistemologico, consentendo delle analisi per così dire “in filigrana” su alcuni meccanismi caratteristici delle pratiche ludico-motorie, di cui lo sport è senza dubbio l’espressione più nota e di successo ma non certamente l’unica. Il punto che più mi sta a cuore è sviluppare nel presente un contributo che intende focalizzarsi proprio sulla definizione di sport, mostrandone alcune caratteristiche specifiche a volte anche non riconosciute o sottostimate. In tal modo, alla luce di un quadro riconoscibile, tenterò infine di individuare alcuni modelli di quello che mi piace chiamare sport adatto, cioè capace di adattare le proprie forme al soggetto piuttosto che il contrario. Non prima però d’aver definito l’enorme valore educativo e culturale veicolato dall’attività motoria e sportiva. Johan Huizinga, nella prefazione di Homo Ludens (1946), racconta un episodio curioso quanto significativo, ovvero del fatto che il titolo originale di una sua conferenza, ovvero: “Gli elementi di gioco della cultura” viene storpiato dagli organizzatori in “Gli elementi del gioco nella cultura”. Si era trattata di un’implicita (ma forte) resistenza al riconoscimento del fatto che la cultura nasce proprio sub specie ludi, come lo storico olandese afferma. Parafrasando Huizinga, dichiaro quindi con decisione che pure le attività di gioco motorio fanno (per definizione...) pienamente parte del fenomeno ludico, quindi anche lo sport è cultura. Ciò significa dunque che da un lato esprimono tendenze e costumi sociali, e dall’altro influiscono sulla loro riproduzione, risultando di fatto un potente dispositivo pedagogico, convinzioni, queste ultime, sostenute peraltro in modo magistrale (tra gli altri) da Roger Caillois (2000).
Tenendo presente che certi meccanismi si riconoscono più facilmente nel prendere in esame situazioni a noi distanti piuttosto che quelle in cui siamo immersi, riferisco un’interessante paragone svolto da Eric Dugas (2011). Analizziamo dunque tre giochi sportivi nati, diffusi ed estremamente popolari negli Stati Uniti d’America, ma relativamente poco sviluppati in Europa: il Baseball, il Football americano e l’Ultimate frisbee, ponendoli a confronto con una situazione speculare, ovvero composta da altrettanti sport creati e popolari in Europa ma non negli USA, cioè il Calcio, la Pallamano ed il Rugby. L’analisi comparata si sviluppa su dimensioni dette “universali ludici” (Staccioli, 1998), stringatamente riportati in tabella 1.
1 Ma non di lingua italiana, tanto è vero che la Prasseologia motoria, grazie all’opera dell’insegnante di Educazione fisica e prasseologo svizzero Enrico Ferretti, costituisce il fondamento teorico dei programmi scolastici di Educazione Fisica del Cantone Ticino. Questi (Area Motricità si trova alle pp. 246-64) sono liberamente scaricabili dal seguen- te indirizzo: www.pianodistudio.ch/.../Piano_
di studio della scuola dell’obbligo Ticinese.
Messisi a confronto con quelli europei, sia tra loro, gli sport statunitensi risultano diversi per alcune caratteristiche; in generale si notano comunque questi aspetti:
1. Maggiori asimmetrie nelle relazioni tra avversari, spazi e tempi;
2. Il punteggio si ottiene privilegiando la cooperazione, mediante il “gioco di squadra”;
3. La “pulizia” nelle fasi di gioco: per esempio o si attacca o si difende ma non è previsto il “ribaltamento di fronte” (non è consentito il cosiddetto “contropiede”);
4. Si riscontrano variazioni notevoli nei modelli di gioco.
Tutto ciò non può essere casuale, anzi le differenze vanno in una direzione precisa: si conferma l’ipotesi secondo la quale le attività ludiche rispecchiano, e nello stesso tempo appunto rinforzano, alcune caratteristiche socioculturali tipiche della società che le produce. Da questo punto di vista, dunque, si può certamente notare una correlazione tra la maggiore propensione nordamericana ad innovare e provare modelli diversi, mentre in Europa appaiono prevalenti le tendenze a seguire un modello tradizionale e piuttosto costante. Nello stesso tempo, nella mentalità Usa (e anglosassone) pare emergere una maggiore aderenza a determinati principi: per ottenere il risultato finale (segnare i punti) appare fondamentale il “gioco di squadra” e l’aiuto reciproco o cooperazione, mentre in Europa il gioco facilita il cambio di campo e l’azione personale, prendendo magari gli altri in contropiede o cercando di risolvere le situazioni difficili di gioco tramite il ricorso ad azioni individuali. Per comprendere quanto il gioco sportivo possa riflettere alcuni elementi della cultura soffermiamoci ancora un attimo sul gioco nazionale USA per eccellenza, il Baseball, noto anche per i noti personaggi dei Peanuts, con i quali il compianto Schulz ha ricostruito un quadro sociale quasi mitologico. Le sue regole prevedono che il giocatore sia “salvo” se sta nella base, mentre può essere eliminato quando si trova in campo aperto nel tentativo di ottenere il punto. Ebbene, questo meccanismo sportivo si presta perfettamente ad essere interpretato come emblematico di tipiche situazioni statunitensi: da un lato ricorda l’epopea del West, quando si era sicuri solo all’interno del Forte (corrispondente alla base), ma non nel territorio aperto infestato da pericoli (Indiani, banditi, territorio ostile…); dall’altro lato, tuttavia, riproduce una situazione tutt’ora attuale nelle scuole americane, dove sono gli allievi a doversi spostare tra le aule, luoghi che sono di pertinenza degli insegnanti. E purtroppo sappiamo quanto ancora oggi, soprattutto negli USA, le comuni aree scolastiche risultino tristemente pericolose. Lo sport del Baseball, insomma, riprende sì una parte della storia nazionale ma per attualizzarla, favorendo l’ingresso del giovane statunitense nella sua specifica realtà sociale, composta da usi e relazioni tra spazi e persone che risultano isomorfiche tra l’organizzazione scolastica ed il gioco sortivo più popolare. Probabilmente sono proprio questi i motivi che non solo ne decretano la popolarità in patria, ma anche lo scarso successo in Europa, dove l’attività non può certo avvantaggiarsi dello stesso orizzonte storico, simbolico ed organizzativo spaziotemporale, né relazionale. Del resto la scelta di svolgere determinati sport, quindi il loro successo, non può certo derivare da mere questioni fisiche o pratiche, nella motivazione risultano anzi fattori fondamentali i significati dell’attività, i quali sorgono perlopiù per l’aderenza ad un modello, molto spesso “incarnato” nella figura di un campione. Alessandro Bortolotti Appare inoltre pertinente ricordare qui il concetto di gioco profondo, definito da Geertz (1987) come l’espressione ludica “densa” di elementi che riassumono su di sé una determinata cultura, facilitandone così una vivida riproduzione. Vi sono pochi dubbi sul fatto che, a tale proposito, nella nostra società il Calcio sia attualmente il più diffuso gioco profondo a livello planetario; ma non fermiamoci al solo livello del gioco giocato, bensì alle capacità di condensare alcune caratteristiche sociali che, attraverso il linguaggio (Hernán-Gómez Prieto, 2009), entrano in modo disinvolto in ogni ambito, permeando attraverso una narrazione evocativa e metaforica le dinamiche sociali. Espressioni come “scendere in campo”, “salvarsi in corner”, “agire in contropiede” o “in zona Cesarini” risultano infatti espressioni comprensibili e universali, ampiamente utilizzate al di fuori del contesto in cui nascono. Non a caso lo sport è stato anche definito alla stregua di fatto sociale totale (Greco, 2004), ma ciò purtroppo significa che corre anche il rischio di essere stravolto dal meccanismo più ampio che lo ha di fatto fagocitato per i propri interessi, perlopiù commerciali. Lo sport di alto livello rischia infatti di perdere la propria ingenuità proprio, e paradossalmente, a causa del successo – si potrebbe dire insomma che ha “venduto l’anima al diavolo”. Ma non m’interessa affatto affrontare discorsi dal sapore moraleggiante, bensì cercare di rimanere su binari di tipo scientifico. Spero di aver sufficientemente chiarito che lo sport va riconosciuto come una espressione culturale tipica; ora dobbiamo invece cercare di cogliere, da un punto di vista pedagogico, cosa ci interessa prendere in considerazione se intendiamo impostare un’azione educativa scientificamente fondata e, quindi, non basata sull’ideologia, la tradizione o il puro buon senso (Bertolini, 1988)..
2.Una definizione operativa di Sport.
Sfortunatamente, le cosiddette “Scienze motorie” a mio modesto avviso faticano a dotarsi di un’epistemologia di riferimento autonoma sufficientemente forte a livello scientifico, pertanto diventa difficile impostare rigorosamente il campo d’indagine con categorie proprie, specifiche della materia. Il rischio di risultare ambigui non è però da imputare alla responsabilità individuale, ad essere lacunoso appare l’intero impianto disciplinare. Anche a livello accademico la materia è notoriamente una sorta di “Cenerentola”, ma si tratta di un fenomeno già ampiamente denunciato: basti pensare che già Marcel Mauss (1965; ma l’opera originale risale al ’36) denuncia come sulle tecniche del corpo (altro termine ormai inflazionato) chiunque si senta legittimato a dire la sua. Venendo nello specifico allo Sport, è estremamente interessante notare che pure la definizione espressa nella “Carta Europea dello Sport” del Consiglio d’Europa (2) risulta deficitaria su più fronti, un esempio di quanto anche a certi livelli d’indirizzo politico la questione non sia tanto ben delimitata; vi si legge infatti:
Un altro asse in grado di caratterizzare le esperienze motorie è quello ambientale, che il mondo sportivo tende peraltro sempre più ad “addomesticare”. Da questo punto di vista si è notato che i giochi olimpici hanno progressivamente eliminato le specialità svolte all’aria aperta, per passare in impianti indoor dove le situazioni sono decisamente più sotto controllo (Parlebas, 1986). Anche questo processo riflette una tendenza tipica della nostra società: quando si può, si tende ad evitare ogni possibile rischio per controllare il più possibile la situazione. Incrociando i due fattori, quelli dell’interazione sociale ed ambientale, si determina quindi un nuovo schema che definisce altri “ambienti”, i quali sorgono come prodotto tra i tratti specifici delle interazioni sociomotorie ed ambientali. Ognuno di questi, ovviamente sulla base dei loro tratti distintivi, sollecita molto diversamente le persone a mettere letteralmente in modo delle condotte motorie specifiche. Credo che anche questa tabella consenta di progettare ed interpretare in modo coerente le diverse esperienze ludico motorie che si programmano ad ogni livello, dal formale all’informale.
Riflessione conclusive In definitiva, il quadro epistemologico delle scienze motorie e sportive attualmente utilizzate nell’indagine scientifica, al riguardo dell’analisi di aspetti strutturali intrinseci non appare al momento troppo chiaro. Al fine di condurre sia analisi pertinenti rispetto alla natura specifica dell’esperienza motoria, sia programmi educativi più chiari e consapevoli rispetto al loro valore pedagogico, in particolare nei confronti di soggetti che posseggono meno strumenti (disabili, bambini molto piccoli, persone in difficoltà socioeconomiche…), può essere utile fare riferimento a come gli “ambienti” definiti dalla Prasseolgia sollecitino le capacità personali. Si potrebbe indagare ad esempio quali condotte motorie vengono elicitate nelle diverse situazioni, se possono essere interpretate alla stregua di risposte adeguate o meno, quali fattori incidono maggiormente e così via. Alessandro Bortolotti Un’ultima riflessione riguarda i modelli di attività ludicomotoria. Uno slogan molto citato a livello prasseologico suona così: “il maestro del gioco è il gioco, non il maestro”. Ciò significa che, a prescindere dalle capacità empatiche, didattiche o pedagogiche dell’insegnante, è la proposta stessa che in gran parte determina la qualità dell’esperienza. Lo sport è un contesto importante, sarebbe assurdo non utilizzarlo per chi ce la fa, però purtroppo rischia di limitare le relazioni nei confronti degli altri e dell’ambiente esterno, inoltre è adatto solo per pochi, si dice che sia infatti un’attività aristocratica. Il modello sportivo classico, infatti, che sostanzialmente si può far coincidere con i Giochi Olimpici (Paralimpiadi comprese), pare chiudere eccessivamente le esperienze dei soggetti dentro a percorsi univoci, riducibili fondamentalmente a duelli individuali o di squadra ed in ambienti il più delle volte prevedibili. Tuttavia, non ritengo utile né corretto chiedere alle società sportive di modificare la loro proposta. Forse gli enti di promozione sportiva possono essere più sensibili ad apportare qualche modifica ai loro programmi; pensiamo ad esempio alla UISP, che attualmente si richiama allo Sport per tutti. Credo che da questo punto di vista occorrerebbe piuttosto fare “rete” ad un livello più ampio, ad esempio investendo qualche risorsa su tavoli locali che consentano a tutti (disabili compresi) di svolgere attività motorie educative e stimolanti da più punti di vista, non solo perché spettacolari o potenzialmente di successo. Sarebbe poi particolarmente importante, anche a livello formale (di scuola dell’obbligo), recuperare ad esempio alcuni giochi sportivi tradizionali, poco spettacolari quindi dimenticati dalle federazioni, ma generalmente più inclusivi, dal punto di vista delle relazioni sociali, di quelli sportivi istituzionali. Molto formative sarebbero anche le attività cooperative all’aria aperta, un altro settore su cui investire per contrastare la tendenza a rinchiuderci in setting indoor. Anche da questo punto di vista l’istituzione scolastica e gli enti locali dovrebbero costituire centri di sviluppo, ma nello stesso tempo dovrebbero essere investiti di risorse materiali e concettuali. D’altro canto, se si ritiene che le condotte motorie siano un modo di esprimere la personalità di un soggetto, sarebbe bene fornire molti stimoli diversi, anche perché il fine dell’Educazione fisica riguarda l’adattabilità psicofisica, e non di certo solo l’adattamento organico, obiettivi che si perseguono stimolando delle riflessioni, piuttosto che allenando solo dei riflessi.Si intende per “sport” qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli (Art. 2, comma 1).
Appare arduo fare riferimento ad una simile definizione a livello scientifico, dato che in buona sostanza non consente nessuna discriminazione operativa. all’opposto, è proprio su questa dimensione che può invece risultare utile la Prasseologia motoria. Secondo Parlebas (1987) lo Sport è un gioco motorio istituzionalizzato di tipo competitivo il cui risultato è incerto. Il sociologo francese, oltre ad indicare le caratteristiche pertinenti (motricità, competizione, incertezza ed istituzionalizzazione), sostiene che quella prevalente per il suo significato sociale è forse proprio quella meno considerata a livello scientifico: l’istituzionalizzazione. È infatti sul piano socio-culturale che si individuano i criteri in base ai quali viene deciso cosa è sport, quindi sono le istituzioni che fanno rientrare le attività nel novero delle categorie di riferimento; il rischio che si corre, tuttavia, è il confondere aspetti tecnici e sociali:
Colpisce constatare come nelle accezioni moderne del termine ‘sport’ il criterio dell’istituzionalizzazione sia regolarmente passato sotto silenzio. Si tratta dunque, in ultima analisi, del criterio decisivo: nell’immenso campo delle pratiche ludicomotorie, l’istituzione ha ufficialmente deciso di sceglierne solo alcune come degne. È proprio tale decisione che accorda a questo insieme di attività il loro status privilegiato (Parlebas, 1987, p. 362; Traduzione dell’Autore).
Al fine di cogliere l’utilità teorica delle analisi del sociologo francese, prendiamo in considerazione un’esperienza verosimile: un gruppo di bambini che s’intrattiene sulla strada a giocare, ad esempio a calcio o basket, prima di recarsi a svolgere un allenamento dello stesso sport al campo sportivo. Sono sempre gli stessi soggetti che apparentemente svolgono la medesima attività, ma nei due tempi c’è una modifica sostanziale: cambia totalmente il contesto. L’elemento istituzionale trasforma la natura dell’attività, la quale prima risulta di gioco spontaneo, ma quando passa dalla strada alla palestra assume un valore istituzionale, per cui le due espressioni non si possono considerare dello stesso tipo, anche se tecnicamente le azioni avrebbero potuto essere pressoché identiche. Ma per quanto riguarda la dimensione educativa non può sfuggire che si tratti di esperienze dal significato diversissimo: una non formale, l’altra informale (poi ci sarebbe il piano formale, sostanzialmente quello scolastico, ma questo ci porterebbe troppo lontano dal tema…).
2 Scaricabile dal sito CONI alla pagina: http://www.coni.it/it/news-delle-vecchie-olimpiade/52-contenuti-statici/3677-note-doc-carta-europea.html.
In sostanza, se non ci dotiamo di una teoria di riferimento pertinente ed operativa, rischiano di sfuggirci i significati intrinseci dell’attività. Ecco perché appare fondamentale coglierne la natura strutturale e lo dico innanzitutto da educatore, prima che ricercatore, perché le opportunità formative dipendono innanzitutto da tali dimensioni.
3. Per una teoria del gioco motorio adeguato o “Sport” adatto
Includere significa innanzitutto far parte di una collettività, diventa pertanto fondamentale analizzare sia le relazioni tra individui, sia le capacità che le situazioni motorie sollecitano, in modo da avanzare proposte adeguate ai bisogni a alle capacità dei nostri allievi. A questo livello la Prasseologia ci presenta la chiave di lettura cosiddetta sociomotoria, che può essere definita come la prospettiva delle scienze motorie che analizza le interazioni tra individui nelle situazioni motorie. Si prendono perciò in considerazione le condotte motorie, termine che intende evidenziare come le attività di gioco motorio mettano in moto l’intera personalità del soggetto, non solo il piano organico, psicologico o cognitivo, ma anche (se non soprattutto) sociale. Le condotte motorie in sostanza possono essere interpretate come la manifestazione di una personalità che esprime se stessa, mediante le interazioni con l’ambiente fisico e l’entourage sociale. Il campo d’azione sociomotorio fa quindi riferimento alla presenza della componente “interazione motoria” tra le persone coinvolte nelle attività. Nel caso in cui un soggetto effettui un’azione motoria senza interazione con gli altri, si viene a delineare una situazione cosiddetta psicomotoria (in senso lato), dove l’attenzione del singolo individuo viene posta nei confronti dell’ambiente o degli oggetti, ma non di altre persone. Rientrano in questa tipologia di movimento, ad esempio, tutti i giochi di abilità individuale o gli sport in cui si resta in corsia, che sostanzialmente non prevedono scambi di alcun tipo con altri atleti nel corso della performance. Nel caso in cui si svolgano invece duelli tra individui o a squadre, si dà vita a scambi socio-motori caratterizzati dalla presenza di due diverse interazioni: quella cooperativa tra compagni e quella oppositiva nei confronti degli avversari, oppure mista nel caso di attività di squadra. Nel caso in cui non ci sia competizione, le interazioni si dicono cooperative. Le diverse disposizioni delle condotte motorie in rapporto alla componente interazione sono riassunte nella tabella n. 2.;Tali categorie, dal momento che forniscono una chiave di lettura delle possibili esperienze motorie relazionali, sono assai utili anche dal punto di vista didattico. Vivere l’intera gamma di situazioni socio-motorie significa impostare le attività non tanto in relazione ai vari sport (punto di vista tecnico), ma delle relazioni. Dal punto di vista socio-motorio, insomma, proporre Basket, Calcio o Pallavolo significa far fare grossomodo la stessa esperienza; e addirittura quelle che potrebbero sembrare attività piuttosto simili perché individuali come la lotta o la corsa veloce, risultano in realtà molto diverse: la prima infatti è oppositiva, la seconda psicomotoria.
Un altro asse in grado di caratterizzare le esperienze motorie è quello ambientale, che il mondo sportivo tende peraltro sempre più ad “addomesticare”. Da questo punto di vista si è notato che i giochi olimpici hanno progressivamente eliminato le specialità svolte all’aria aperta, per passare in impianti indoor dove le situazioni sono decisamente più sotto controllo (Parlebas, 1986). Anche questo processo riflette una tendenza tipica della nostra società: quando si può, si tende ad evitare ogni possibile rischio per controllare il più possibile la situazione. Incrociando i due fattori, quelli dell’interazione sociale ed ambientale, si determina quindi un nuovo schema che definisce altri “ambienti”, i quali sorgono come prodotto tra i tratti specifici delle interazioni sociomotorie ed ambientali. Ognuno di questi, ovviamente sulla base dei loro tratti distintivi, sollecita molto diversamente le persone a mettere letteralmente in modo delle condotte motorie specifiche. Credo che anche questa tabella consenta di progettare ed interpretare in modo coerente le diverse esperienze ludico motorie che si programmano ad ogni livello, dal formale all’informale.
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