martedì 19 marzo 2024


TEORIA TECNICA E DIDATTICA DELL’EDUCAZIONE MOTORIA 
IN ETÀ EVOLUTIVA
 PERCORSI DIDATTICI


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INTRODUZIONE 


Secondo noi dovrebbe essere un aiuto per tutti coloro che vengono chiamati ad insegnare scienze motorie. La nostra idea è di fornire un minimo di riferimenti teorici (perché il movimento ha sempre basi scientifiche) e una scaletta di interventi, giochi, esercizi, feedback, riflessioni, valutazioni, proposte, ecc.. mirate alla costruzione di un breve programma didattico per le principali fasce d’età e per le varie tipologie di settore (scuole, centri di avviamento allo sport, centri estivi, società, ecc…) in cui ci si può trovare a lavorare. Ovviamente quanto scritto non può essere altro che uno stimolo, una proposta, senza alcuna pretesa di unicità e assoluta veridicità. E’ il frutto della nostra esperienza pregressa, quindi ci potrebbero essere altre 1000 proposte migliori che starà a voi sperimentare; è uno dei tanti modi di lavorare tenendo sempre ben presenti i principi guida del nostro lavoro: le finalità, gli obiettivi, i contenuti, i metodi.
Accanto a questa guida teorico/pratica si farà spesso riferimento ad un’ulteriore dispensa prettamente teorica (reperibile nel sito di UNIFE) scritta dalla Prof. Marani Lorena per affrontare al meglio questo esame di T.T.D dell’Educazione motoria .

Che cosa sono le Scienze Motorie Sportive?

È una disciplina educativa finalizzata allo sviluppo, alla crescita e al mantenimento delle funzioni motorie coordinate con le capacità cognitive ed affettivo-relazionali.
In modo molto pragmatico possiamo dire che le finalità  rappresentano le mete dell’intervento educativo che vengono raggiunte attraverso lo sviluppo di tutti gli obiettivi generali.
In sintesi le Finalità di questa disciplina sono sostanzialmente tre:
educative, formative e preventive realizzabili attraverso la specificità della disciplina (Attività Motoria, Educazione Fisica o Sportiva). Una certa differenza invece esiste con l’allenamento ad una pratica sportiva agonistica, che qui non tratteremo, che consiste in un programma teso ad incrementare la funzionalità organica, ad accelerare il massimo sviluppo delle capacità motorie essenziali per il raggiungimento della massima prestazione sportiva. Inoltre un programma d’allenamento deve prevedere tempi piuttosto dilatati per l’insegnamento della tecnica e della tattica di quello specifico sport, nonché le simulazioni di gara. Per questo settore rimandiamo pertanto ad un’ampia ed esaustiva bibliografia già esistente in commercio.

LE FINALITÀ:

EDUCARE significa portar fuori ciò che sta dentro, rendere palese una predisposizione, far scaturire le potenzialità esistenti nella persona da educare (dal latino educere =trarre fuori). E’ il processo che tende allo sviluppo delle facoltà mentali, fisiche e relazionali dell’individuo. Avviene attraverso l’istruzione (trasmissione di concetti e informazioni) e l’insegnamento (relazione empatica che favorisce l’apprendimento).
Avviene in differenti contesti (famiglia, scuola, amici, società sportiva, oratorio, circoli culturali, ecc.)  tramite diversi attori (genitori, insegnanti, istruttori, gruppo dei pari, mass-media) e attraverso la didattica (o pratica dell’educare) che si fonda sulla conoscenza di metodi e contenuti.

FORMARE significa favorire la conoscenza e la coscienza di sé per realizzare un percorso di autonomia che consenta, prima, di riconoscere le proprie attitudini e aspirazioni, poi di saperle sviluppare, consolidare e controllare nell’arco di tutta la nostra vita (formazione permanente).

PREVENIRE significa conoscere il rapporto tra attività motoria e miglioramento o mantenimento della salute dinamica. Consiste :
· nel miglioramento della funzionalità di organi ed apparati, con particolare attenzione allo sviluppo plastico dell’apparato neuro-muscolare per migliorare l’adattamento alle situazioni della vita quotidiana;
·  nello sviluppo dei fattori di buona salute (capacità condizionali);
·  nel mantenimento dell’equilibrio tra energia introdotta e spesa (rapporto tra massa magra e tessuto adiposo) al fine di ridurre i rischi di patologie.
Tutto ciò al fine di mantenere un equilibrio fisico, mentale e sociale che consenta di vivere bene attraverso la realizzazione quotidiana delle proprie risorse e aspirazioni.

COME PROGRAMMARE IL NOSTRO LAVORO
Quando si deve realizzare un apprendimento–insegnamento è necessaria “un’ulteriore competenza che consente all’insegnante di pianificare gli apprendimenti degli allievi individuando gli obiettivi, i contenuti, i mezzi, gli ambienti e i sistemi di verifica a breve, medio e lungo termine” (Casolo F.  “Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano” Milano, Vita e Pensiero, 2002) per poi valutarne i risultati.
Vediamo sinteticamente quali sono le variabili da considerare:

L’ETA’ è molto ovvio capire che le finalità, gli obiettivi, i contenuti, la metodologia, siano molto diversi tra loro se devo insegnare a bambini, ragazzi, adolescenti, adulti, anziani.
E’ pur vero che potrei trovarmi ad insegnare ad un gruppo di adulti che vogliono fare una ginnastica di potenziamento aerobico con gli attrezzi oppure ad un gruppo di adulti che vogliono fare attività aerobica con la musica.  In questo caso, pur essendo analoga l’età, cambiano completamente i contenuti ed i mezzi.

IL GRUPPO/ CONTESTO: si potrebbe trattare di una scuola (primaria o secondaria) o di un gruppo di bambini di età non omogenea che frequenta un corso organizzato da una società di promozione sportiva, oppure un gruppo di bambini di una società di calcio, o bambini di un centro ricreativo estivo, ecc…
Anche se la fascia d’età è la medesima, il lavoro da programmare può essere completamente differente a seconda degli obiettivi che si devono raggiungere in quel contesto. Prendiamo ad esempio la fascia 6-8 anni. Se siamo in una scuola elementare si dovranno conoscere e perseguire gli obiettivi del programma di educazione fisica per la classe prima e seconda.
Se siamo in una Polisportiva in cui esistono squadre di calcio, volley e basket, cercheremo di sviluppare un’attività motoria che tenda anche ad individuare eventuali predisposizioni nei nostri piccoli allievi verso questi particolari sport.
Se stiamo lavorando in una società di calcio che organizza tornei anche per i giovanissimi, la nostra attività dovrà prevedere anche una preparazione tecnico/tattica che possa consentire ai bambini di svolgere una partita di calcio piuttosto che di basket o altro.
Quindi l’obiettivo di quel particolare contesto sportivo vincola già la mia programmazione.

IL TEMPO del mio lavoro, quanto dura?
Potrei essere stato assunto solo per i 2 mesi estivi o per tutto l’anno scolastico, o per sostituire un collega in malattia per qualche mese, o avere un incarico più prolungato. Questa attività potrebbe svolgersi su due ore settimanali (in linea di massima è così) o per tempi più dilatati. Gli obiettivi che mi porrò saranno proporzionali al tempo che avrò a disposizione. Infatti si parla di programmazione a lungo, medio e breve termine.
Inoltre c’è da considerare che dipende anche in quale parte dell’anno ci troviamo, nel caso mi trovi a sostituire un collega dovrò conoscere gli obiettivi già conseguiti precedentemente dal gruppo, prima di poter programmare una sequenza adeguata di contenuti.

I PREREQUISITI: ogni attività motoria deve essere adeguata, oserei dire fatta su misura, per quello specifico gruppo. Quindi non si può fare una buona programmazione senza conoscere il livello di capacità raggiunto dalle persone con cui lavorerò. Pertanto nelle primissime lezioni dovrò prevedere una serie di giochi, staffette, percorsi, esercizi, che mi diano la possibilità di “testare” il livello di sviluppo e padronanza delle principali capacità motorie condizionali e coordinative, nonché il livello di socializzazione che eventualmente esiste tra quelle persone, che potrebbe essere una grossa risorsa da cui partire.

L’AMBIENTE E LE ATTREZZATURE: non sempre ci troviamo a lavorare in un ambiente idoneo all’attività che dobbiamo svolgere. Spesso dobbiamo adattarci alle palestre esistenti che, in alcuni casi, per gli scarsi investimenti economici, sono piuttosto carenti di manutenzione o di attrezzature. Prioritaria è l’attenzione alla sicurezza che significa prima di tutto, osservare attentamente l’ambiente, prevedere ed eliminare (se fattibile) tutte le fonti di possibili incidenti: gli attrezzi contro cui si può sbattere o cadere andrebbero tolti o spostati; gli spigoli o i pali vanno protetti con materiale apposito, eventuali gradini o avvallamenti del terreno vanno accuratamente evidenziati, va costantemente controllata l’integrità delle attrezzature utilizzate, ecc.. Questo perché il D.L. 81/2008 Art.19 ci uniforma ai “preposti” cioè a persone che “in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintendono all’attività…. e ne garantiscono l’attuazione in sicurezza, secondo le direttive ricevute”. In pratica l’insegnante è responsabile di tutto quello che potrebbe succedere ai propri allievi a meno che non riesca a dimostrare che il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità gli abbia impedito un tempestivo efficace intervento teso ad evitare l’incidente.
Quindi, superata la fase della sicurezza dell’ambiente, dobbiamo valutare quali attrezzature sono a nostra disposizione prima di programmare la nostra attività.

COME SI COSTRUISCE UNA LEZIONE:
non esiste una tipologia unica di lezione; ci sono un’infinità di cose che si possono proporre in ciascuna lezione, ma dato che vogliamo dare alcune indicazioni a coloro che sono all’inizio della loro esperienza, il consiglio è di partire da questo modello-tipo per poi sperimentare di volta in volta l’introduzione di contenuti personali e  metodologie differenti.
Il primo concetto basilare è la varietà delle proposte operative che tuttavia devono sempre rispettare gli obiettivi prefissati e la finalità dell’insegnamento.
In modo molto schematico possiamo ricordare che ogni lezione dovrebbe contenere almeno 5 momenti:
1.   l’orientamento o l’accoglienza
2.   l’attivazione motoria o riscaldamento o condizionamento
3.   la parte centrale con lo sviluppo di uno o più obiettivi specifici
4.   la parte ludica (che può essere contemporanea alla valutazione)
5.   il defaticamento (ritorno alla condizione di normalità del ritmo cardio-respiratorio) con la sintesi finale

L’orientamento o l’accoglienza:  solitamente il gruppo appena arriva in palestra viene disposto in cerchio, seduti, compreso il docente. Ha lo scopo di comunicare l’obiettivo del giorno, richiamare quanto fatto precedentemente e quali sono le capacità/abilità già apprese che saranno prerequisiti importanti per il nuovo apprendimento; infine accogliere tutte le istanze dei vari componenti (chi non sta bene e giustifica, chi ha voglia solo di giocare, ecc.) cercando di responsabilizzarli e motivarli al lavoro.

L’attivazione motoria o riscaldamento:  si inizia a lavorare con un ritmo gradualmente crescente per innalzare la frequenza cardio-respiratoria e velocizzare le reazioni biochimiche (vedi capitolo Riscaldamento nella dispensa Marani). Le esercitazioni possono essere le più svariate: corse, giochi, staffette, a corpo libero o con piccoli attrezzi o palloni, ecc..

La parte centrale con lo sviluppo di uno o più obiettivi specifici: rappresenta il cammino operativo dell’apprendimento di nuovi contenuti, l’acquisizione di nuovi schemi motori, nuove abilità, o l’applicazione di precedenti apprendimenti in nuovi contesti (trasferibilità).

La parte ludica: può essere la trasferibilità degli apprendimenti appena acquisiti in modo analitico, nel gioco globale o in una partita.  Per esempio: imparare il tiro a canestro poi utilizzarlo in un gioco (gara di tiri a canestro) o in una partita 3 contro 3 o 5 contro 5
In questa fase si ottiene anche un feedback, necessario sia all’insegnante che all’allievo, sul livello di apprendimento raggiunto dal gruppo. Questo consente al docente di fare le opportune correzioni al suo programma o al suo metodo e consente all’allievo di “sentire” se ha raggiunto una sufficiente padronanza del gesto o se necessita di ulteriori esercitazioni. In accordo con gli studenti, a livello scolastico, questo momento può anche essere utilizzato per una verifica formativa o sommativa; mentre un gruppo gioca, alcuni allievi vengono valutati dal docente poi si cambia, in modo che nessuno stia fermo ad aspettare il proprio turno per essere valutato.

Il defaticamento: solitamente negli ultimi 5/10 minuti di lezione bisogna proporre un’attività un po’ blanda, in modo che il ritmo cardio-respiratorio si abbassi e ritorni alla condizione di normalità, per non mandare i ragazzi nello spogliatoio tutti affannati e accaldati.
Spesso è difficile farli smettere di giocare per fare un’attività blanda (che a loro appare noiosa) quindi si utilizzano gli ultimi 5 minuti per rimetterli seduti in cerchio e chiedere loro di fare una sintesi del lavoro appena svolto cercando di portarli a verbalizzare quello che hanno appena sentito, provato, imparato, le difficoltà non superate, le proposte per la volta successiva, ecc.
Questo momento che sembra banale in realtà è particolarmente importante, perché sottolinea l’attenzione del docente alla parte affettiva/emotiva/relazionale/sociale, al vissuto dei ragazzi, agli eventuali litigi avvenuti, e ribadisce la necessità di porre attenzione a quello che si fa e a come lo si fa, senza dimenticare che lavorando in gruppo è fondamentale il rispetto reciproco ed il  fair-play.

PERCORSI DIDATTICI


Ora vorremmo illustrarvi alcuni nostri percorsi didattici che crediamo possano essere d’esempio e di stimolo per arricchire l’attività di chiunque si appresti a lavorare nel campo delle Scienze motorie. Vi illustreremo 7 percorsi didattici dandovi, per ciascuno di essi, anche alcune indicazioni teoriche che spiegano come la pratica sia sempre collegata ad una base scientifica, ad una motivazione che va ben oltre il semplice “fare ginnastica”.

1. La socializzazione
2. Il riscaldamento
3. Il gioco
4. Il ritmo e la percezione
5. Il ritmo e la coordinazione
6. Gli sport di quadra e individuali
7. L’attività motoria nella prima infanzia

PERCORSO DIDATTICO N.1:  LA SOCIALIZZAZIONE

 





RIFERIMENTI TEORICI:
Quando un gruppo si trova per la prima volta insieme con un nuovo insegnante, la cosa più importante a cui fare attenzione sono i sentimenti e le emozioni delle persone e le dinamiche relazionali. Quasi tutti nei primi momenti si chiedono chi siano i loro compagni, se saranno all’altezza delle richieste dell’istruttore; se le persone hanno delle insicurezze saranno nervose, tese, preoccupate del giudizio degli altri. Ecco perchè il compito prioritario dell'insegnante durante le prime lezioni è quello di creare un clima sereno, di rispetto reciproco, scevro da giudizi e preconcetti, fatto di conoscenza e accettazione nonchè di collaborazione ed empatia. A volte dentro il gruppo capita che ci si senta un numero, o comunque qualcuno che conta poco. Al contrario può capitare che ci sia qualcuno che tenta di accentrare su di sè tutte le attenzioni. Entrambe le situazioni complicano il percorso di apprendimento che risulta difficoltoso per gli individui che sono preoccupati e distratti da emozioni negative.
Sentire di appartenere ad un gruppo da cosa dipende?
Molti sono gli aspetti dell’inclusione: conoscere le persone del gruppo, condividere gli stessi obiettivi (siamo tutti qui per mantenerci in forma), essere tutti lì con lo stesso scopo (vogliamo imparare a giocare a pallavolo), sentirsi simili.
Quindi la prima cosa che un docente deve fare è favorire la socializzazione e lo star bene insieme, anche attraverso esercizi di contatto (per esempio i giochi di trasporto) che favoriscano la conoscenza e la fiducia reciproca.

Il riscaldamento, detto anche attivazione motoria o condizionamento, deve essere fatto prevalentemente per evitare infortuni, ma gli effetti che produce migliorano in modo significativo le risposte motorie. (Vedi dispensa Marani). Può essere fatto in tantissimi modi e sarà notevolmente differente a seconda delle fasce d’età verso cui è rivolto.
Per esempio, con i bambini si utilizzeranno prevalentemente giochi, prima più blandi poi più dinamici e che prevedano anche movimenti di mobilizzazione articolare.
Con i ragazzi e gli adolescenti si può utilizzare la corsa aerobica e le andature pre-atletiche. Con i giovani e gli adulti si può lavorare anche sulla consapevolezza dei tempi, dei ritmi e delle necessità individuali relative al proprio riscaldamento e contestualmente alla mobilità articolare si possono affiancare esercizi di stretching.
Ovviamente l’insegnante sa che ogni tipo di attività che successivamente intende proporre richiede l’attivazione dell’apparato cardio-respiratorio e degli apparati muscolare e articolare, e questo lo può raggiungere con tantissimi esercizi, giochi o attività.
La particolarità dell’Educazione motoria è che ogni esercitazione può avere numerose finalità contemporaneamente. Nel riscaldamento si possono proporre degli esercizi che siano anche socializzanti, come per esempio: correre per tutta la palestra scambiandosi il nome e quando si trovano compagni il cui nome comincia con la stessa iniziale, si prosegue la corsa affiancati. Oppure, dalla corsa libera in tutta la palestra, al segnale convenuto formare una fila che corre sul perimentro in ordine alfabetico, ecc…
L’insegnante deve essere sempre consapevole dell’intensità e dell’impegno muscolare che richiederà al proprio gruppo nella fase centrale della sua lezione, perchè il riscaldamento deve essere proporzionale a questo per lavorare in sicurezza ed evitare spiacevoli dolori muscolari che potrebbero ridurre il piacere per l’attività motoria.
A volte, prima di iniziare il riscaldamento, potrebbe essere opportuno un momento per richiamare l’attenzione del gruppo sull’inizio dell’attività, per esplicitare gli argomenti che verranno trattati in quella seduta, per ascoltare le eventuali richieste od osservazioni. Il modo migliore è attivare un circle time cioè sedersi tutti in cerchio, (compreso l’insegnante) e parlare rispettando alcune regole che vanno illustrate la prima volta che si usa questo strumento.

IL GIOCO

Il gioco è una dimensione fondamentale nella vita di ogni bambino. Nel gioco egli si muove, scopre, inventa, si relaziona con gli oggetti, con l’ambiente, col gruppo dei pari. Il gioco favorisce lo sviluppo di tutte le 3 aree della personalità (cognitiva, affettivo-relazionale, motoria), in particolare:

Area cognitiva: il gioco stimola l’attenzione, la memoria, la percezione, la capacità di fare associazioni e confronti, stimola la fantasia e la creatività ecc..

Area affettivo/relazionale (o sociale): dopo i tre anni i bambini possono lasciare i giochi individuali ed iniziano a gradire i giochi con gli altri. Questo favorisce il superamento di stati di timidezza, di insicurezza, di isolamento e stimola il confronto, la collaborazione, l’amicizia.

Area motoria: i giochi essendo estremamente motivanti, aiutano il bambino a prolungare nel tempo carichi di lavoro progressivamente più intensi, portando prima allo sviluppo, poi al controllo degli schemi motori.
Il gioco basato sulle regole può essere iniziato intorno ai 4/5 anni ma la fase di maggiore sensibilità e disponibilità è intorno agli 8-10  quando il bambino è in grado di comprendere e accettare alcuni concetti astratti come: il condividere, fare a turno, accettare di perdere, essere leali, rispettare i tempi, comprendere la finalità del gioco. Per questo si dice che il gioco è molto educativo!  Il gioco viene ad essere una sorta di amplificatore di tutti gli elementi utili allo sviluppo del soggetto e l’assimilazione di tutti questi elementi è resa più rapida e relativamente semplice dall’aspetto ludico che il gioco per sua natura possiede.
Giocando si fa qualcosa che diverte e allo stesso tempo si apprende, senza pensare né alla fatica né al tempo che scorre, né a cosa in realtà si sta facendo.
Il divertimento è la più grande motivazione a fare qualsiasi cosa! I giochi hanno la capacità di stimolare le abilità sotto l’aspetto coordinativo, condizionale ed organico.
I giochi non codificati (palla rilanciata, palla avvelenata, ecc..) sono meno ancorati alle regole rispetto ai giochi codificati (calcio, volley, basket, ecc..) e queste regole possono anche essere ridotte, cambiate, adattate all’ambiente o decise dal gruppo. Consentono di svolgere attività più creative e si adattano maggiormente al numero di persone che abbiamo davanti, alle attrezzature presenti (anzi spesso non richiedono attrezzature specifiche) alle finalità che vogliamo raggiungere.
La cosa che diverte in sè, è il confronto coi compagni, il misurarsi col tempo, il mettersi in gioco e scoprire le proprie possibilità.
Il gioco, secondo Bruno Bettelheim, è l’unica esperienza capace di rispondere e soddisfare i bisogni fondamentali del bambino.

- IL GIOCO E LO SPORT NELLA SCUOLA PRIMARIA


Nella fascia d’età della scuola primaria l’educazione ludico motoria dei bambini avviene potenziando e diversificando sia proposte e occasioni di attività ludico-motorie che pratiche pre-sportive. Le suddette, a qualsiasi età vengano praticate, ma soprattutto in questa delicata fase di crescita, perseguono il principio di considerare i bambini tutti protagonisti, nessuno escluso. Per riuscire a far questo è fondamentale tenere conto di attitudini, preferenze e capacità individuali, rispettando i naturali ritmi di crescita e promuovendo pari opportunità di partecipazione, con una particolare attenzione agli alunni diversamente abili.

I principi didattici di base dell'educazione ludico-motoria sono: Socializzazione,  Integrazione,  Ludicità, e Multidisciplinarietà.

Caratteristiche principali: I bambini sono stimolati a sviluppare in modo creativo le capacità percettive del corpo, imparano a muoversi con sicurezza nello spazio e ad utilizzare efficacemente gli attrezzi. Si avvicinano alle diverse discipline sportive sperimentandone in forma ludica le regole e apprendono il significato della collaborazione e dell'aiuto reciproco. Nei primi due anni della scuola primaria (6/8 anni) la didattica è incentrata sui temi della corporeità, del movimento e della relazione. In seguito, a partire dalla 3°, ma soprattutto in 4^ e 5 ^ primaria, l’attività  dovrebbe prevedere la sperimentazione di discipline più strutturate e codificate (Mini-volley, mini-basket, avviamento al calcio, mini-Handball, avviamento all'atletica leggera, ecc...). 

- VARIABILI DA CONSIDERARE QUANDO SI PROPONE UN GIOCO:
• RISPETTO DELLE REGOLE
• ETÀ E GENERE
• TEMPI, DURATA DEL GIOCO
• SPAZI E DIMENSIONI DEL CAMPO DI GIOCO, ANCHE IN RELAZIONE ALLA       PREVENZIONE E ALLA SICUREZZA
• EQUILIBRIO NEL PROPORRE GIOCHI CONOSCIUTI E NUOVI
• CAMBIARE SPESSO LE SQUADRE PER FAVORIRE LA SOCIALIZZAZIONE
• CONOSCERE LE PRINCIPALI FINALITÀ DEI GIOCHI E QUELLE SECONDARIE
• FLESSIBILITÀ DEI GIOCHI (PIU’ SEMPLICI O PIU’ DIFFICILI)
• TUTTI PROTAGONISTI, NESSUNO ESCLUSO
• IDEARE GIOCHI NUOVI: favorisce la creatività, il senso di appartenenza, la capacità di saper gestire situazioni impreviste, la possibilità di utilizzare gli stessi spazi in modo originale e alternativo

PERCORSO DIDATTICO N.4:  PERCEZIONE 

E EDUCAZIONE AL RITMO


RIFERIMENTI TEORICI:

Il ritmo è talmente insito nella nostra vita che alcune delle nostre funzioni biologiche hanno un ritmo! (Il battito cardiaco, il respiro, masticare, succhiare, parlare, sonno/veglia, onde cerebrali, movimento). In ogni nostro gesto c’è un prima e un dopo, con una sua durata, con un inizio ed una fine, quindi ogni movimento ha un suo tempo e il ritmo è ordine nel movimento!
Il senso ritmico non viene appreso, ma è già presente alla nascita (caratteristica solo del genere umano); a soli due giorni dalla nascita, nel neonato è attiva l’induzione del ritmo, ossia la reazione spontanea di andare a tempo. A 3/4 anni è già in grado di sincronizzare (fase della sincronizzazione senso-motoria) il movimento della mano o del piede con un ritmo che abbia una cadenza regolare.
L’educazione al ritmo si presenta nel contempo come un’educazione del movimento, un’educazione percettiva e una coordinazione del gesto e del suono.
Essere in grado di adeguare un movimento ad un ritmo conosciuto e piacevole è molto gratificante, emozionante, soprattutto se avviene in gruppo e se si arriva alla sincronizzazione (tutto il gruppo esegue gli stessi movimenti nello stesso tempo). Questo stimola il Sistema Nervoso Vegetativo (sistema immunitario e ormonale), l’area corticale premotoria e l’emisfero sinistro, “caricando” tutti i componenti del gruppo come avviene, per esempio con l’Haka Maori degli All Blacks.
 
 
Educare al ritmo significa pertanto perseguire alcuni obiettivi:

1. prendere coscienza del ritmo con cui cose e persone si muovono (più facile perchè è un ritmo esterno a noi)

2. prendere coscienza del ritmo dei nostri movimenti (ritmo interno, più difficile se non si ha una buona propriocezione).

3. mirare alla capacità di adeguare le proprie contrazioni muscolari ai ritmi esterni, sia che essi siano una musica o un pallone, o un avversario.
Ma che cos’è la propriocezione?  Sappiamo che la percezione (funzione cognitiva) si suddivide in esterocettiva e propriocettiva (vedi dispensa Marani); la capacità propriocettiva avviene attraverso l’apparato vestibolare (percezione dello stato di equilibrio) e l’apparato cinestesico (percezione del livello di tensione esistente nei muscoli, tendini e articolazioni).  
In pratica, attraverso varie esercitazioni e molta attenzione, l’individuo deve progressivamente riconoscere i segnali che il proprio corpo invia al cervello (attraverso le vie afferenti). Una volta che si riesce a “riconoscere meglio” (cioè percepire) questi messaggi, si potrà migliorare la selezione e l’elaborazione di tutte le informazioni giunte al cervello. Tutto ciò consentirà la scelta della risposta più idonea a raggiungere i risultati desiderati, controllando consapevolmente la risposta motoria inviata dal cervello all’apparato muscolare (attraverso la via efferente). La combinazione del miglioramento della capacità propriocettiva e del controllo della risposta motoria, permette di raggiungere un maggiore livello di coordinazione.
Oltre al miglioramento della capacità percettiva, attraverso un’attività motoria su base musicale, si raggiunge la capacità di contrarre e decontrarre i diversi gruppi muscolari rispettando i giusti intervalli degli stimoli sensoriali ottenendo così la sincronizzazione tra i gruppi agonisti ed antagonisti. In pratica, tutta l’attività motoria guidata dalla musica consente di migliorare la propria coordinazione dinamica generale.

PERCORSO DIDATTICO N.5:  

IL RITMO E LA COORDINAZIONE 


RIFERIMENTI TEORICI:


CAPACITÀ DI RITMO

In ogni forma di movimento possiamo riconoscere un ritmo esecutivo caratterizzato da durata, pause, velocità, intensità, accentuazione  e frequenza. 

Il ritmo di movimento è “l’ordine cronologico specifico, temporale, caratteristico di un  atto motorio” (Kurt Meinel, 1977), è una “articolazione regolata dei movimenti nel loro svolgimento temporale” Alla base del ritmo c’è quindi la dinamica muscolare, cioè il continuo e fluido alternarsi di contrazioni e decontrazioni, tensioni e rilassamenti. Nel ritmo, è evidente,  si manifesta anche la coordinazione motoria. I ritmi di movimento sono condizionati perciò, in modo determinante, dalla struttura dell’apparato motorio umano. La capacità ritmica è fondamentale negli sport ciclici di lunga durata, come ad esempio il ciclismo od il canottaggio, poiché il mantenimento di un regolare ritmo di movimento rende più efficace ed economico, dal punto di vista energetico, il lavoro muscolare. Ci si può così adattare ad un ritmo proveniente dall’esterno (come quello scandito da una musica) o riprodurne uno personale, interiorizzato ed autonomo, come avviene ad esempio nella corsa o nel nuoto.
Il ritmo ha certamente anche un’oggettiva funzione aggregante e coinvolgente, come ad esempio quando riesce a trascinare un gruppo di persone a  muoversi insieme piacevolmente, contagiati dalla stessa musica.

La coordinazione

Numerosi autori considerano la capacità di ritmo come una capacità coordinativa speciale. Ma che cos’è la coordinazione e come si rapporta con il ritmo?
La coordinazione è quella funzione del cervello che ordina e collega tutti gli elementi che servono a progettare e realizzare quell’azione motoria che ci serve per raggiungere il nostro obiettivo (per esempio fare canestro o saltare un ostacolo, ecc...)
La capacità di ritmo consiste essenzialmente nell’eseguire un movimento, un gesto, rispettando dei precisi intervalli di tempo e di durata;
Coordinazione ritmica significa percepire il tempo del proprio movimento ed adattarlo ad un ritmo esterno mantenendone il controllo anche rispetto a cambiamenti del ritmo stesso; questo consente di realizzare tutti movimenti in manie

PERCORSO DIDATTICO N.6: I GIOCHI SPORTIVI DI SQUADRA E INDIVIDUALI




 

RIFERIMENTI TEORICI:  

“Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.” (Pierre de Coubertin)

DIFFERENZE TRA ATTIVITA’ SPORTIVE DI SQUADRA E INDIVIDUALI

Vi è una sostanziale differenza tra gli sport di squadra e quelli individuali: negli sport di squadra l’atleta fa parte di un team e la responsabilità del risultato è condivisa mentre negli sport individuali la responsabilità del risultato è pienamente a carico dello stesso atleta anche se i risultati individuali potrebbero convergere in una valutazione collettiva di squadra (per es.atletica, nuoto, scherma). Inoltre sovente negli sport di squadra gli atleti devono ridefinire continuamente gli schemi di gioco, in base all’azione dei compagni, alle loro prestazioni, agli avversari, e questo richiede una mentalità molto aperta, elastica e disponibile. Mentre l’individualista è spesso disciplinato da schemi rigidamente predisposti quindi necessita di una mentalità concentrata su stesso, sul riconoscimento delle proprie prestazioni, sul piacere di sfidare i propri limiti.
A lungo andare gli effetti delle pratiche sportive saranno diversi: collaborazione, senso di appartenenza, spirito di gruppo e competizione saranno accresciuti negli atleti che praticano sport di squadra; viceversa, senso di responsabilità, disciplina, sfida dei propri limiti e di se stessi, saranno tipici degli atleti individualisti.
 
I GIOCHI PRE- SPORTIVI

Quando si deve proporre uno sport di squadra bisogna valutare bene, in base all’età dell’utenza e ai prerequisiti del gruppo, che tipo di gradualità applicare e quali modalità di insegnamento utilizzare. Quando i bambini sono piccoli o l’utenza è inesperta, si partirà con il proporre i cosiddetti giochi pre-sportivi, ovvero i giochi sportivi convenzionali molto semplificati, con le sole regole essenziali e che prevedono l'inserimento graduale e progressivo dei gesti tecnici specifici di quello sport, dai più facili ai più difficili. Il gioco sport dello scoutball (gioco propedeutico al rugby) ne è l'esempio più classico, ma altri come il saracino di gomma, il gioco dei 5 passaggi, tra due fuochi, per citarne solo alcuni, ne rappresentano l'esempio più concreto. Solo successivamente i giochi pre-sportivi potranno evolvere verso le prime vere e proprie forme sportive, ovvero i cosiddetti mini-volley, mini-basket, min-handball, ecc...
Il risultato principale che si ottiene ponendo la giusta attenzione alla corretta progressione di insegnamento dello sport é in primis la salvaguardia dell'aspetto ludico- ri-creativo che il bambino prova nel praticare queste forme via via sempre più evolute dal gioco al gioco-sport, quindi al gioco pre-sportivo e infine al mini sport. Rispettando questa progressione i bambini non perdono mai il senso della ludicitâ dello sport perché l'insegnante non sarà fiscale sulla correttezza del gesto, così che tutti possono giocare e divertirsi anche se ancora non hanno imparato il gesto tecnico. Questo è ancora più importante quando nel gruppo c’è una persona disabile o in difficoltà, infatti l'aspetto dell’inclusione della persona in difficoltà è da tenere sempre presente; è molto importante per l’insegnante conoscere eventuali aspetti clinici o limitazioni motorie dei propri studenti, per diversi motivi:
• per insistere sull’aspetto della collaborazione, del mettersi nei panni dell’altro, del non dare giudizi negativi alle persone che non raggiungono immediatamente l’apprendimento tecnico;
• per fare proposte operative adatte a tutti;
• per allungare i tempi di gioco in modo che ci sia più tempo per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Il gioco motiva moltissimo e diverte, quindi è più facile lavorare per tempi lunghi e far percepire che sono la tenacia e la costanza a far raggiungere buoni risultati.

FINALITA’ E CARATTERISTICHE DEGLI SPORT DI SQUADRA

Un altro aspetto importante è la finalità che si vuole raggiungere con l’insegnamento di uno sport di squadra. E’ banale  pensare che si insegna a giocare a pallavolo solo perchè piace ai ragazzi. C’è sicuramente un fattore culturale, familiare, un’influenza dei media, che inducono i ragazzi a chiedere di giocare sempre a calcio o pallavolo, ma l'insegnante deve sapere che attraverso lo stesso gioco pre-sportivo e/o si possono raggiungere diversi obiettivi, per esempio: migliorare la percezione spazio/temporale, migliorare la collaborazione tra compagni, migliorare la tecnica degli spostamenti, ecc...
Le dinamiche sono molto differenti in un gioco di squadra in cui esiste o no il contatto tra le squadre (per esempio: basket/volley). Quindi se abbiamo un gruppo che ancora non sa controllare la propria vivacità non proporremo il basket o il calcio ma giochi in cui non ci sia il contatto tra le due squadre.
Il ruolo in cui si gioca aggiunge una difficoltà, una responsabilità e non tutti i ragazzi potrebbero essere adatti a rivestirlo in quella particolare fascia d’età in cui si trovano. Per esempio: a 8 anni non tutti sono psicologicamente pronti per tirare un rigore, per qualcuno potrebbe essere fonte di stress. Oppure a 14 anni ci possono essere ragazzi che non se la sentono di fare il “libero” nella pallavolo, di avere la responsabilità di ricevere palloni forti, ma soprattutto dove sbagliare la ricezione significa dare un  punto sicuro all’avversario, quindi non vanno mai forzati.
Anche l’atteggiamento dei giocatori è diverso nelle azioni in cui la propria squadra è in difesa o in attacco e lo stress a cui sono sottoposti durante una partita è maggiore quando i momenti in cui si è in attacco o in difesa cambiano repentinamente come ad esempio nel basket o nel calcio.
L’insegnamento delle strategie di gioco aprirebbe una discussione infinita se pensiamo a tutte le simulazioni che vediamo in televisione. Da un punto di vista educativo però non ci sono dubbi: ai ragazzi (di qualsiasi età) va insegnata la lealtà, la correttezza, l’accettazione e la dichiarazione del proprio errore. Essere consapevoli che si sbaglia, come tutti, e che questo non vale un giudizio negativo sulla propria persona, è uno dei più grandi insegnamenti che lo sport può dare. Dobbiamo sempre improntare la nostra azione educativa secondo le regole del fair-play e anche noi, come insegnanti, dobbiamo dimostrare che riconosciamo di aver sbagliato e che questo nulla toglie alla nostra preparazione, al nostro ruolo, alla nostra professionalità.
Infine, come insegnanti dobbiamo essere molto attenti a non dare giudizi ai ragazzi che sbagliano ma cercare sempre di gratificare le azioni positive, di valorizzare i loro progressi, di stimolare la crescita della loro autostima.
Dobbiamo ricordare che non bisogna mai dire ad un bambino che non è capace di fare una cosa perchè in questo modo è possibile che alla fine diventi realmente incapace di farla. A volte le aspettative dell’insegnante inducono, anche inconsciamente, delle risposte nell’allievo che vanno in quella direzione (la profezia che si avvera) pertanto dobbiamo sempre pensare in positivo ed agire spronando tutti, ma soprattutto i più deboli, ad insistere e perseverare nell’attività, perchè alla fine arriveranno anche loro al risultato sperato.

PERCORSO DIDATTICO N.7: GIOCHI E ATTIVITÀ PER L'INFANZIA  




 
RIFERIMENTI TEORICI:
 
Il GIOCO E IL GIOCO-DRAMMA

Fino alle soglie del 900, il gioco veniva considerato una attività contrapposta alle così dette attività“ serie”. Solo nel 1898 lo studioso  Karl Groos (1898)  attribuì al gioco una funzione  importante nello sviluppo della persona, considerandolo una specie di palestra per i comportamenti futuri. Il bambino, fin dal 10^ mese di vita,  diviene capace  di “fare finta” e con questa  abilità entra nella sua vita la possibilità di rielaborare gli elementi della propria realtà, costruendo una realtà parallela all’interno della quale il mondo viene ricreato secondo i propri bisogni e desideri. Questa elaborazione del mondo va di pari passo con la formazione del proprio senso di identità.
Sue Jenning individuò tre fasi del gioco infantile le quali si succedono integrandosi:
1 - La fisicità del gioco, nella prima fase, è predominante
2 - nella seconda il bambino utilizza oggetti che acquistano un significato simbolico
3 - nella terza il gioco diviene teatro.
In quest’ultima fase, dove il gioco prende il nome di  gioco drammatico è fondamentale il “come se”  che ha un significato più ampio del semplice far finta e che è presente in altre attività della vita adulta come il rito, la festa ed il teatro.  Queste attività, come il gioco,  si svolgono nell’ambito  della “realtà drammatica”, una realtà speciale e protetta, dove il mondo reale e quello immaginativo si intersecano costituendo il primo la sua forma ed il secondo il suo contenuto.  

Il gioco drammatico infantile produce una serie di effetti positivi in quanto permette di:
• esprimere e risolvere conflitti interni,
• assimilare la realtà,
• raggiungere un senso di padronanza e di controllo,
• liberare emozioni,
• imparare a controllare impulsi potenzialmente distruttivi,
• esplorare problemi e scoprire soluzioni,
• sperimentare ruoli nuovi e sviluppare un senso di identità.
 
Riflessioni "adulte" intorno al gioco drammatico: risorse, difficoltà e ricchezze.

* Un'altra prospettiva: L'utilizzo del gioco-dramma ci chiede di entrare in un'altra prospettiva. Non si tratta di fingere di avere un 'età che non è più nostra, bensì di ritrovare nella propria età quell'essere bambini che ti permette di vedere le cose "diversamente", da un altro punto di vista. E ogni diversità è una ricchezza. Ecco quello che i bambini ci permettono di ritrovare: un'altra prospettiva. Perché ciò avvenga é necessario dialogare, comunicare, entrare in empatia con loro, saper giocare con loro nella diversità dei propri ruoli, ma anche nella reciprocità degli scambi e delle ricchezze che entrano in campo. Allora la drammatizzazione è una grande possibilità, una grande opportunità, una grande occasione per conoscersi giocando con loro.

* É facile drammatizzare con i bambini? : Bisogna innanzitutto lasciare a casa giudizi severi sulle proprie capacità espressive, recitative o interpretative. Bisogna capire che è bello giocarsi nella relazione per quello che si è, con la propria capacità di lasciarsi andare in una storia fantastica, dentro una invenzione narrativa, buttandosi in una imitazione divertente e divertita. Non dobbiamo dimenticare che questi sono i modi privilegiati che il bambino ha per entrare in contatto con la realtà che lo circonda. L'immaginazione e la fantasia sono per il bambino un mezzo privilegiato per mediare il suo rapporto con la realtà. In questi mondi più o meno fantastici noi dobbiamo inserirci pur mantenendo presente il nostro esserci come educatori e insegnanti.

* Saper ritornare come bambini :
Per l'educatore diventa importante riscoprire di aver avuto, e avere, desideri forti come i loro, aver desiderato di essere qualcun altro e di averlo giocato in mille e più svariate imitazioni; e ancora riscoprire che desideri e sogni che avevamo da bambini, ancor oggi sono presenti, magari solo in parte e/o con modi e maniere diverse, ma pur sempre ancora vivi. Questo ci può aiutare a capire la personalità in divenire dei bambini. Davanti alla eventuale timidezza e alla paura del bambino a mostrarsi, a esibire le proprie emozioni e sentimenti, dobbiamo cercare di portare a lui la capacità di sentirsi a proprio agio per quello che si é, anche e soprattutto accettando i propri limiti, anche quelli espressivi.

* Mettersi in gioco: È necessario mettersi in gioco per quello che si è: chi è bravo e chi non lo è, chi ha grandi capacità espressive e chi non le ha. Situazioni di abilità e capacità opposte sono frequentemente presenti nello stesso gruppo. Si tratta di prendere consapevolezza profonda che quella del gioco-dramma è un'attività fondamentale del bambino. Un'attività che egli ricerca spontaneamente, che persegue volentieri nel suo tempo, che percorre nei suoi tratti con grande coinvolgimento emotivo, affettivo e sempre con grande trasporto motivazionale. É veramente interessato alle storie che racconta, appassionato dalla fantasia, sedotto dal racconto e incantato dalle immagini.

* Non ce lo diranno a parole, ce lo diranno giocando:
L'attività del gioco dramma è un'attività privilegiata, attraverso la quale i bambini si raccontano. Attraverso le storie che improvvisano, ripetono, riproducono, imitano, inventano, rielaborano, i bambini  raccontano l'universo dei loro sentimenti e pensieri che attraversano la loro mente e il loro cuore, inteso come sfera affettiva. Allora racconteranno gioie e dolori, angosce e paure, felicità e tristezza, preoccupazioni e spensieratezze, bisogni, desideri e tanto altro ancora. Racconteranno delle persone e degli affetti che li circondano, della loro presenza e anche della loro eventuale assenza e/o mancanza. Ci accorgeremo, soprattutto giocando con loro, anche di quei bambini che faticano ad esprimere questo loro mondo esteriore ed interiore. Ce ne accorgeremo chiaramente solo in quel momento. Non c'è lo diranno infatti a parole, ce lo diranno giocando.
 
 
- L'AMBIENTAZIONE FANTASTICA: SIGNIFICATO, FINALITÀ E  UTILIZZO
(di Maurizio Cassanmagnago)

 
SIGNIFICATO DELL'AMBIENTAZIONE FANTASTICA
Un buon educatore/animatore dovrebbe essere creativo. Un modo per coltivare la creatività è quello di fare spazio alla fantasia. Si può imparare dai bambini osservando come si comportano nel gioco spontaneo, quando cioè hanno il tempo e la possibilità di organizzarsi in maniera autonoma. In questa situazione i bambini hanno la possibilità di entrare in una dimensione libera da regole e schemi che non siano quelli da loro pensati (che comunque hanno un carattere estemporaneo), la fantasia e la creazione fantastica diventano una necessità. Rivestire e vivere un ruolo immaginario, consente al bambino di trasferirsi, con i propri dubbi, paure, desideri, aspirazioni, in una dimensione accessibile, mediata, piacevole e alla sua portata, all'interno della quale poter consumare una serie di esperienze altrimenti per lui non disponibili. Il bambino ha bisogno di questo trasferimento, di credervi e di identificarvisi, per poter entrare nel regno della libertà.  Ora, se il bambino ha avuto una vita infantile ragionevolmente appagante, la smitizzazione del gioco ed il passaggio all'accettazione (spesso deludente) della realtà, è un delicatissimo processo evolutivo che avviene spontaneamente, nel momento e con le modalità proprie a ciascun individuo, alla propria personalità, al proprio mondo e contesto educativo, ed esclusivamente quando è pronto a questo passaggio e ne avverte la necessità.  Vista la necessità di vivere un ruolo fantastico per crescere e per conoscere la realtà, il ruolo dell'animatore/educatore diventa quello di favorire questo passaggio, rispettando i tempi e le caratteristiche del singolo bambino.
Come fare? Imparando ad usare l'ambientazione fantastica, naturalmente. Nel fare questo ci sono due suggerimenti apparentemente contraddittori. Da una parte la ricerca del fantastico va incentivata, soprattutto nei casi in cui i bambini si mostrano troppo "adulti" e realistici. Dall'altra si può favorire il passaggio alla realtà, cercando di presentarla in maniera non meno interessante della fantasia, caricandola di curiosità, di entusiasmo e, perché no, anche di mistero. Creare delle aspettative può essere rischioso, perché queste possono andare deluse. Non farlo significa non dare nessuna possibilità al bambino di trovare nella realtà alcuni degli aspetti positivi che ha conosciuto nel mondo della fantasia.
 
USO DELL'AMBIENTAZIONE FANTASTICA
Il "gioco in ambientazione fantastica", nella sua forma più elementare, è la prima e più spontanea forma di gioco del bambino: egli crea un ambiente immaginario e si ridefinisce in base ad un personaggio inventato. Nel momento in cui il gioco da singolo diventa di gruppo l'ambientazione fantastica diventa strumento per socializzare, per conoscere e conoscersi, per definirsi. Questo è senz'altro uno dei modi di giocare che i bambini e, talvolta anche gli adulti, amano di più.  Quando è l'animatore a proporre l'ambientazione fantastica la situazione cambia: il bambino non è più solo, non ha la possibilità di trasformare il mondo che gli sta attorno a suo piacimento, la presenza dell'adulto rischia di essere vista come un disturbo, un intruso. E' necessario giustificare questa presenza, trovare un linguaggio che permetta la comunicazione con il bambino, offrire stimoli che trasformino la figura dell'adulto da potenziale invasore a quella di possibile compagno di giochi. Per far questo é utile conoscere le caratteristiche e le varie modalità con cui si può manifestare il gioco in ambientazione fantastica.

1. il lancio  Cos'è il lancio? si tratta di un breve sketch teatrale, in cui uno o più animatori ambientano il gioco, creando una situazione di illusione costruita su tre componenti: l'ambientazione fantastica ovvero il soggetto dell'avventura, il travestimento degli animatori e la rappresentazione, in altre parole la messa in scena, il dialogo fra i personaggi presenti nel lancio. Gli animatori/educatori, senza bisogno di grosse spiegazioni, ottengono in questo modo una comprensione chiara e diretta, da parte dei giocatori, del ruolo e delle regole del gioco e il loro immediato coinvolgimento. Con questo stratagemma si giustifica la presenza dell'adulto nel mondo del fantastico proprio del bambino e si ottiene la sua collaborazione: è una presenza non mediata, grazie al fatto che l’insegnante impiega un codice fantastico che il bambino comprende. Un lancio ben architettato permette di ottenere alcuni risultati rilevanti: il bambino capisce quello che sta succedendo senza che nessuno pretenda qualcosa da lui; se l'animatore è bravo, il bambino si lascia coinvolgere emotivamente dall'avventura che questo gli propone; a questo punto, il bambino risponde positivamente alle richieste d'aiuto dell'animatore, dando inizio in maniera naturale al gioco e diventandone, da passivo che era in fase iniziale, il vero protagonista.
Il lancio può essere usato come inizio di molteplici attività: nel caso di un grande gioco si tratta di un mezzo per introdurre una determinata ambientazione; se utilizzato prima di un laboratorio di manualità o di espressione, è un modo per valorizzare il lavoro che verrà dopo, per giustificarne lo scopo, per "caricare" i ragazzi. In tutti questi casi può essere molto importante l'uso che si fa del travestimento.

2 Il travestimento: L'animatore che deve impersonare il temibile pirata Capitan Kid piuttosto che il folletto Tesorius non ha l'obbligo di utilizzare un costume che rispetti l'origine storica e sociale dei personaggi rappresentati. Spesso diventa più importante l'uso di alcuni aggeggi strani e apparentemente assurdi che permettono di catturare l'attenzione del bambino, creandogli interesse e aspettative. In ogni caso l'impegno messo dall'animatore/attore/educatore, la sua capacità di calarsi nel personaggio, di credere a quello che sta vivendo conta più della bellezza del travestimento utilizzato.

3 la durata Un'attività in ambientazione fantastica può durare 2 ore, ad esempio un grande gioco, o un'intera settimana. Il centro estivo per esempio è un'occasione che si presta moltissimo per le attività fortemente animate e può essere totalmente costruita sull'uso dell'ambientazione fantastica. Per fare questo, il gioco in ambientazione non può essere relegato al grande gioco o a un lancio come pretesto per introdurre una serie di attività slegate fra loro. Si tratta, invece, di fare dell'ambientazione ciò che lega e giustifica i diversi momenti della giornata e porta ad un continuo coinvolgimento dei bambini. Il cambiamento è radicale: si possono proporre giochi, laboratori, passeggiate e addirittura il momento del pranzo in funzione dell'ambientazione prescelta. Compito difficile? Probabilmente si, ma non impossibile. E se riesce può dare grosse soddisfazioni. Attenzione: dare sistematicamente priorità all'ambientazione rispetto alle singole attività ludiche o didattiche, significa, in alcuni casi, sacrificarle in parte. Sta all'animatore capire quando si sta esagerando. Giocare con l'ambientazione fantastica serve nella misura in cui si resta nel gioco e non si costruisce un mondo improponibile. Se si utilizza frequentemente lo strumento dell'ambientazione fantastica, è importante che questa abbia un ruolo di veicolo per conoscere la realtà e non per allontanarsene.
 
  



ESERCIZI PER ALLENARE LA PROPRIOCETTIVITÀ DELLE MANI




Ciao amici, non è semplice trovare degli spunti interessanti per arricchire e migliorare il bagaglio di conoscenze di noi allenatori perché il web è fonte di ricerche e video con esercizi con diversi spunti per l’allenamento. La percezione e la sensibilizzazione penso sia un fattore importante, nello sviluppo tecnico non solo dei palleggiatori ma di tutti gli atleti, soprattutto in età evolutiva. A mio avviso dedicare del tempo inserendo questi esercizi all’interno di un programma di allenamento saranno utili per migliorare sia la forza sia la propriocettività delle mani. In uno sport come la pallavolo, siamo consapevoli che le mani e le dita sono molto sollecitate. Un programma di qualche minuto con  questi esercizi aiuta a completare il vostro allenamento. Buona visione e Buon lavoro

Stefano Lorusso




domenica 17 marzo 2024

 COMPRENDERE  L'AZIONE  TECNICO  -  TATTICA NELLE  DISCIPLINE  SPORTIVE  APERTE (OPEN  SKILL)





 Questo  studio,  presenta  un  quadro  di  riferimento  teorico  per  esaminare  l'azione  tattica  nello  sport. Si  tratta  dell'approccio  dinamico  ecologico  che  integriamo  con  idee  fondamentali  tratte  dalla letteratura  sull'apprendimento  delle  abilità  motorie  complesse.  In  particolare,  l'attenzione  si concentra  sul  ruolo  svolto  dai  gradi  di  libertà  percettivi  sostenuti  in  un  approccio  ecologico all'apprendimento.  Nel  presentare  ai  lettori  questo  quadro  di  riferimento,  tale  prospettiva  viene messa  a  confronto  con  modelli  più  tradizionale  di  azione  tattica.  Infine,  vengono  descritte  alcune implicazioni  per  l'allenamento  delle  abilità  tecnico-tattiche  nello  sport.

Introduzione 

Azioni  tattiche  e  tecniche  precise  caratterizzano  le  prestazioni  esperte  nello  sport.  Sebbene  la ricerca  abbia  esaminato  le  differenze  legate  all'abilità,  le  ragioni  di  fondo  per  queste  differenze rimangono  in  gran  parte  sconosciute.  Le  modalità  tipiche  per  lo  studio  dell'acquisizione  di  abilità,  si basano  sull'analisi  del  tempo  di  reazione,  della  velocità  di  movimento,  dell'ampiezza  e  della  durata oltre  che  sulla  struttura  dettagliata  dell'azione  e  sul  processo  di  apprendimento.  In  questo  articolo, analizzeremmo  le  basi  della  struttura  del  processo  di  apprendimento  nello  sviluppo  di  azioni tattiche.  Secondo  il  cognitivismo,  il  comportamento  tattico  e  il  processo  decisionale  si  fondano sull'esistenza  di  un  controllore  centralizzato,  uno  schema  un  modello  mentale  che  è  responsabile della  loro  organizzazione  e  regolamentazione.  Tuttavia,  questa  tesi  non  risulta  essere soddisfacente  dal  momento  che  si  limita  semplicemente  a  trasferire  il  problema  iniziale  del processo  decisionale  è  una  struttura  interna  preesistente,  chiedendosi  per  quale  motivo  quella determinata  organizzazione  neurobiologica  si  sia  sviluppata  in  che  modo  quella  struttura  specifica abbia  avuto  origine.  Parliamo  della  proposta  avanzata  da  Gibson  (1979)  in  base  alla  quale, piuttosto  che  trovarsi  in  una  struttura  interna,  il  controllo  è  in  realtà  il  partito  nel  sistema "organismo-ambiente".  Questo  diverso  punto  di  vista,  indica  che  la  struttura  e  la  fisica dell'ambiente,  la  biomeccanica  del  corpo  di  ogni  individuo,  le  informazioni  percettive  su  variabili informative  e  le  richieste  di  compiti  specifici,  sono  tutti  elementi  che  contribuiscono  a  condizionare il  comportamento  nel  Modo  in  cui  viene  espresso.  Piuttosto  che  essere  imposto  da  una  struttura preesistente  (nervoso  mentale),  il  comportamento  ad  attivo  emerge  da  questa  convergenza  di limitazioni  nel  contesto  di  un  determinato  compito  obiettivo.  Da  questa  prospettiva  è  possibile comprendere  il  ruolo  delle  informazioni  dell'intenzionalità  nell'azione  tattica,  in  termini  fisici  (ossia una  comprensione  basata  sulla  legge  degli  aspetti  dinamici  e  distinti  del  comportamento  umano). Una  delle  sfide  principali  per  questo  approccio,  fondato  sulla  dinamica  ecologica,  consiste  nel comprendere  in  che  modo  un  individuo  impara  percepire  il  la  layout  circostante  dell'ambiente  e della  prestazione  in  funzione  del  suo  corpo  e  della  sua  capacità  d'azione.  Le  teorie  ecologiche  di apprendimento  hanno  lo  scopo  di  spiegare  in  che  modo  i  soggetti  che  percepiscono  traggono vantaggio  dall'abbondanza  di  formazione  delle  proprietà  ambientali.  Secondo  le  teorie  ecologiche  i risultati  di  apprendimento  cambiano  in  funzione  delle  caratteristiche  ambientali  ai  quali  sistemi percettivi  sono  sensibili.  La  complessità  della  prestazione  esperta,  deriva  da  un  migliorato adattamento  degli  atleti  e  rispettivi  ambienti,  piuttosto  che  da  un'aumentata  complessità  di  processi di  memoria,  nervosi  o  di  calcolo.  Possiamo  puoi  approfondire  questo  quadro  di  riferimento ecologico  illustrando  in  che  modo,  con  l'allenamento,  si  sviluppa  l'abilità  nell'azione  tattica. Successivamente  vengono  illustrati  alcuni  aspetti  che  consentono  di  migliorare  l'abilità  tecnicotattica  nello  sport.         








Dinamica  ecologica  dell'azione  tattica 

Costanza  e  flessibilità,  rappresentano  due  caratteristiche  complementari  delle  prestazioni  precise  e funzionale  in  ambienti  dinamici.  Da  una  parte,  una  prestazione  di  successo  e  caratterizzata  da modelli  dimensionali  essenziali  e  riproducibili,  che  sono  azioni  funzionali  che  si  possono  riprodurre in  modo  costante  nel  corso  del  tempo  e  che  resistono  alle  perturbazioni  impreviste.  Dall'altra  parte, "il  comportamento  non  è  stereotipato  e  rigido  ma  piuttosto  flessibile  e  adattivo".  Sebbene  imodelli d'azione  presentino  delle  morfologie  regolari,  gli  atleti  non  sono  ancorati  a  soluzioni  rigidamente stabili  (ad  esempio  tecniche,  tattiche),  ma  sono  in  grado  di  adeguare  i  loro  comportamenti.  Gli esecutori  di  successo,  devono  adattare  le  loro  azioni  ad  ambienti  che  cambiano  in  modo  dinamico che  caratterizzano  lo  sport  agonistico.  Questa  flessibilità  necessaria  viene  adattata  appositamente alle  condizioni  ambientali  attuali  e  alle  richieste  di  compiti  e  implica  un  controllo  percettivo dell'azione.  In  linea  con  questa  tesi,  Le  transizioni  tra  Stati  di  organizzazioni  stabili  sono determinate  da  un'instabilità  dinamica  che  fornisce  una  piattaforma  decisionale  universale  per passare  tra  stati  diversi  e  sceglierli.  Pertanto,  se  si  delineano  modelli  di  movimento  più  funzionali per  adattarsi  alle  circostanze  E  al  contesto  di  un  ambiente  prestazionali,  le  oscillazioni  derivanti dalle  instabilità  dinamiche  aiuteranno  l'esecutore  a  scoprirli  ed  esplorarli.  È  importante  sottolineare che  non  si  tratta  di  un  mutamento  di  per  sé,  ma  piuttosto  di  un  cambiamento  qualitativo  che  deriva dalla  non  linearità  intrinseca  della  dinamica  del  modello  d'azione.  Inoltre,  le  interazioni  tra esecutore  ambiente  determinano  un  comportamento  emergente  che  il  presenta  una  sua  dinamica, definita  dinamica  comportamentale.  Il  punto  fondamentale  è  che  le  soluzioni  comportamentali stabili  corrispondono  elementi  di  attrazione  nella  dinamica  comportamentale  ed  i  passaggi  tra modelli  comportamentali  corrispondono  a  biforcazioni.  Le  biforcazioni,  mettono  a  disposizione  un meccanismo  di  selezione,  i  mezzi  per  decidere  quando  un  modo  di  comportarsi  smette  di  essere funzionale  e  passare  a  soluzioni  comportamentali  più  funzionali.  Queste  stabilità  non  esistono  a priori  nella  struttura  dell'esecutore  ma  sono  determinate  insieme  dalla  convergenza  di  vincoli ambientali  e  dei  compiti.  Queste  idee  sono  in  linea  con  le  tesi  di  Gibson  (1979) in  base  alla  quale  il  controllo  si  trova  nel  sistema  organismo-ambiente  e  il  comportamento  può essere  identificato  come  auto-organizzato,  in  antitesi  con  l'organizzazione  imposta  dall'interno. Durante  le  fasi  di  apprendimento  e  sviluppo  emergono  modelli  di  comportamento  attraverso  un processo  di  intuizione  (bootstraping)  in  cui  le  interazioni  organismo  ambiente,  determinano dinamiche  comportamentali  e,  a  loro  volta,  la  stabilità  in  queste  dinamiche  catturano  il comportamento  dell'esecutore.       



Durante  il  bootstrapping,  L'esecutore  esplora  in  modo  attivo  un  percorso  per  realizzare  un  obiettivo in  relazione  a  un  compito,  fornendo  il  suo  contributo  e  determinando  la  posizione  delle  sue  stabilità (soluzioni  stabili).  In  modo  reciproco,  gli  elementi  di  attrazione  nella  dinamica  comportamentale presentano  un  feedback  per  sistemare  temporaneamente  I  modelli  di  azione  di  un  esecutore,  in forma  di  casualità  circolare.  Dal  punto  di  vista  dell'esecutore,  il  compito  consiste  nell'avvalersi  di limitazioni  di  tipo  fisico  (le  qualità  della  superficie  del  campo  in  erba  nel  calcio),  e  informativo  (ad esempio  l'approccio  di  velocità  di  corsa  di  un  avversario),  per  stabilizzare  un  comportamento deliberato.  La  soluzione  emergente  può  fondarsi  in  misura  maggiore  o  minore  su Regolarità  di  tipo  fisico  o  informativo,  in  funzione  della  natura  del  compito.  All'interno  di determinate  limitazioni  esiste,  di  norma,  un  numero  limitato  di  soluzioni  stabili  che  consentono  di raggiungere  un  risultato  desiderato.  Si  deve  tenere  presente,  che  dal  momento  che  la  cognizione  è concepita  come  l'abilità  di  un  utilizzare  informazioni  rilevanti  nel  controllo  dell'azione,  tutte  le  azioni comportano  un  certo  grado  di  consapevolezza  e  viceversa.  Nello  sport,  la  competenza  di  un giocatore  viene  mostrata  solo  nelle  conseguenze  di  movimento  e  percezioni  incorporati  nelle azioni,  come  proprietà  osservabili  del  sistema  ambiente-organismo.  Pertanto,  il  processo decisionale  è  un  processo  complesso,  esteso  in  termini  temporali,  espresso  da  azioni  nella  scala ecologica.  Quest'analisi  funzionale,  del  processo  decisionale  e  in  contrasto  con  gli  approcci tradizionali  in  cui  gli  individui  sono  stati  modellati  come  responsabili  delle  decisioni  razionali  che calcolano  e  selezionano  opzioni  da  quelle  rappresentate  nei  modelli  neuronali  e  mentali  elaborati per  sfruttare  al  massimo  l'utilità  per  la  prestazione.  Il  responsabile  delle  decisioni  che  segue fedelmente  le  regole  per  valutare  le  unità  previste  non  necessariamente  comprende  le  affordance "Informazione  visiva  che  suggerisce  un  essere  umano  le  azioni  appropriate  per  manipolare  un oggetto"  una  situazione  e  sarà  meno  preparato  rispetto  un  responsabile  delle  decisioni  che  studi  e le  opportunità  e  le  limitazioni  presenti  nella  situazione.  Nella  dinamica  ecologica,  il  comportamento di  un  esecutore  può  comportare  conseguenze  che  si  verificano  in  un  processo  successivo  luogo  al di  fuori  del  contesto  in  cui  movimenti  sono  stati  avviati.  Le  azioni  sono  intenzionale  perché  il  loro significato  la  loro  importanza  si  trovano  altrove  rispetto  alle  loro  origini  casuali.  In  realtà  "Le  azioni sono  per  natura  forme  di  comportamento  di  scelta  vero".  Intendendo  con  questo  che  è  un  obiettivo comportamentale  (vale  a  dire  una  condizione  finale)  comporta  che  l'esecutore  scegli  una condizione  iniziale  come  percorso  che  consente  il  conseguimento  della  condizione  finale  in  base  al campo  legale  (fisico)  esistente.  Lungo  il  percorso  per  realizzare  l'obiettivo-con  ogni  passo  che  fa avvicinare  al  risultato  finale-Le  fonti  di  informazioni  rilevate  e  utilizzate  per  disciplinare  l'azione devono  diventare  ancora  più  specifiche.  Il  loro  utilizzo  è  finalizzato  a  ridurre  le  possibili  azioni disponibili  per  il  sistema  di  movimento,  fino  a  quando,  durante  la  fase  finale,  al  momento  della realizzazione  dell'obiettivo,  il  percorso  emergente  di  menta  definito  in  modo  univoco,  vale  a  dire con  meno  gradi  di  libertà.  In  quest'ottica,  il  processo  decisorio  viene  visto  come  un  processo emergente  e  funzionale  in  cui  si  fa  una  selezione  tra  percorsi  di  azione  convergenti  per  un  obiettivo che  si  intende  raggiungere.  Le  scelte  vengono  fatte  in  prossimità  di  punti  di  biforcazione  in  cui diventano  disponibili  informazioni  più  specifiche,  obbligando  il  sistema  ambiente-atleta  a  passare ad  un  percorso  più  allettante.  In  breve,  adottare  decisioni  significa  dirigere  una  serie  di  interazioni con  l'ambiente  verso  un  obiettivo  e  le  decisioni  emergono  da  questo  processo  ciclico  di  ricerca  di informazioni  per  agire  e  attivarsi  per  trovare  più  informazioni.  In  questo  tipo  di  approccio, l'apprendimento  per  adottare  decisioni  di  successo  riguarda  educazione  dell'intenzione, sintonizzazione,  calibrazione  e  padronanza  dei  gradi  di  libertà  percettivi-  motori.  Nel  prossimo paragrafo  parleremo  di  come  questi  processi  di  apprendimento  e  contribuiscono  a  tre  possibili  fasi dello  sviluppo  dell'azione  tattica.

• Esplorazione
• Scoperta  e  stabilizzazione 
• Utilizzazione.

Lo  sviluppo  dell'azione  tecnico-tattica  nello  sport 

Ghibson  (1966),  ritiene  che  il  modo  migliore  per  comprendere  come  la  percezione  regola  l'azione, consiste  nella  rilevazione  dei  vincoli  informativi  specifici  per  i  corsi  che  conducono  agli  obiettivi. Rispetto  ai  vincoli  fisici  le  limitazioni  degli  obiettivi  si  possono  considerare  straordinarie  e  si configurano  con  una  regola  che  indica  come  agire  se  si  intende  raggiungere  un  determinato risultato.  Più  precisamente,  la  regola  stabilisce  che  una  persona  dovrebbe  agire  per  trasformare  in informazioni  specifiche  quelle  informazioni  attuali,  non  specifiche  per  un  risultato  che  si  desidera ottenere.  Questa  tesi  comporta  che  il  primo  passo  per  fare  sì  che  qualsiasi  processo  di apprendimento  si  verifichi  È  rappresentato  dall'educazione  dell'intenzione,  che  avvia  il  processo  di esplorazione  dei  gradi  di  libertà  di  movimento.  Ciò  significa  che  limitazioni  di  cambiamento plasmano  il  comportamento  emergente  in  sistema  di  movimento  dinamici.  Appare  evidente  che, nel  corso  del  tempo,  un  determinato  insieme  di  interazioni  di  un  singolo  esecutore,  ambiente  e compito  può  produrre  una  funzione  particolare  di  cambiamento  comportamentale.  Il  modello  di Newell  (1986)  descrive  come  si  concretizza  un  sistema  di  movimento.  Si  è  sostenuto  che  "l'impatto relativo  di  queste  tre  categorie  di  limitazioni  sul  modello  di  coordinazione  vari  in  funzione  della situazione  specifica".  I  vincoli  ambientali  sono  solitamente  riconosciuti  come  quelle  limitazioni esterne  al  singolo  esecutore.  Si  può  considerare  con  un  vincolo  ambientale  ogni  limitazione  che interessa  l'interazione  esecutore-ambiente  che  non  è  interna  al  singolo  esecutore.  Tutta  via  le limitazioni  dei  compiti  rappresenta  un  sistema  specifico  di  vincoli  ambientali.  Seguendo  una  linea  di pensiero  analoga  possiamo  ritenere  che  le  limitazioni  funzionali  (come  la  fatica  mento  rispetto all'imitazione  strutturale  come  l'altezza),  del  singolo  esecutore,  dal  momento  che  dipendono  dal tempo  in  misura  maggiore,  sono  quelle  che  dovrebbero  essere  progressivamente  messe  in sintonia  con  l'obiettivo  del  compito.  È  evidente  che  una  molteplicità  di  limitazione  dell'esecutore individuale  converge  per  specificare  il  modello  di  coordinazione  adatto  e  che  i  vincoli  ambientali riflettono  le  condizioni  ambientali  per  il  compito,  mentre  l'elemento  centrale  delle  limitazioni  del compito  e  l'obiettivo  dell'attività  e  le  limitazioni  specifiche  imposte.  Quindi  maggiore  è  la  definizione del  percorso  per  l'obiettivo,  Tanto  più  le  limitazioni  funzionali  alle  limitazioni  del  compito  specifico  il comportamento  emergente.  Nella  ricerca  di  soluzioni  per  gli  obiettivi  del  compito
 comportamentale, l'esecutore  cerca  di  scoprire  le  caratteristiche  dinamiche  del  sistema,  in  cui  il  sistema  è  definito  su esecutori  individuale,  ambiente  compito.

Esplorazione: Manipolare  i  gradi  di  libertà 

Appare  evidente,  che  molte  percezioni  e  azioni  sono  possibili  in  qualsiasi  situazione  prestazionali. In  situazioni  prestazionali  specifiche,  determinate  percezioni  e  azioni  risultano  essere  più  funzionali rispetto  ad  altri  e,  come  l'esperienza,  in  cui  gli  individui  fanno  progressi  nella  scelta  delle  percezioni 

delle  azioni  che  intendono  attuare.  Si  presume  che  intenzioni  diverse  organizzano  i  sistemi percettivo-motori  in  modo  diverso.  L'educazione  dell'intenzione  potrebbe  influirein  modo significativo  su  quale  variabile  informativa  deve  essere  percepita  dall'esecutore.  Le  intenzioni dipendono  da  molti  fattori  come  esigenze,  aspettative  un  convinzioni  e  anche  da  influenze  esterne come  le  istruzioni  che  rendono  stimolante  lo  studio  dello  sport.  Spesso  negli  studi  ecologici vengono  scelte  situazioni  in  cui  è  possibile  ipotizzare  una  determinata  intenzioni,  ad  esempio,  un incontro  di  basket  uno  contro  uno,  in  prossimità  del  canestro,  si  può  supporre  che  l'attaccante  in possesso  di  palla  sia  intenzionato  a  scartare  il  difensore  ed  ad  andare  a  canestro  per  segnare, piuttosto  che  mantenere  semplicemente  il  possesso  della  palla.  Queste  supposizioni  sono necessarie  perché  le  intenzioni  limitano  i  compiti.  Ad  esempio  necessario  ipotizzare  una determinata  intenzione  per  definire  e  identificare  quali  variabili  informative  sono  importanti  in  ogni momento.  Pertanto  in  presenza  di  determinate  intenzioni,  alcune  variabili  si  possono  definire informativi  mentre  altre  non  lo  sono. (Bernstein  1967)  A  sollevato  il  problema  di  come  controllare  la  notevole  quantità  di  gradi  di  libertà che  caratterizzano  la  coordinazione  motoria.  La  complessa  interazione  tra  i  diversi  elementi  del sistema  del  movimento  umano  (ad  esempio  muscoli,  tendini  e  articolazioni)  rende  impossibile  il controllo  separato  di  tutti  questi  elementi.  Pertanto  è  necessario  ridurre  il  numero  consistente  di gradi  di  libertà  individuale  da  disciplinare  così  da  consentirne  il  controllo.  Questa  riduzione  è  un processo  per  "conoscere  a  fondo  i  gradi  di  libertà  non  necessari  dell'organo  in  movimento,  in  altri termini,  la  sua  conversione  in  un  sistema  controllabile".  La  domanda  di  Bernstein  comporta  Che  la semplificazione  dell'organizzazione  di  un  sistema  che  presenta  parecchi  gradi  di  libertà  e  possibile solo  se  si  stabilisce  un  numero  sufficiente  di  limitazioni,  o  collegamenti  tra  i  suoi  componenti, accoppiandoli  in  una  sinergia.  L'accoppiamento  di  campi  di  forze  esterne  basati  sull'ambiente  con campi  di  forze  interne  basate  sull'ambiente  e  mediante  i  campi  di  informazione  costituisce  la  base di  una  teoria  di  cognizione  per  un  comportamento  indirizzato  all'obiettivo  e  fa  guida  per  i  principi per  lo  sviluppo  dell'abilità  del  processo  decisorio.  Quando  L'intenzione  dell'esecutore  corrisponde all'obiettivo  del  compito  e  necessario  coordinare  i  gradi  di  libertà  del  suo  sistema  di  movimento  che sono  superflui. Si  presenta  l'esigenza  di  stabilire  relazioni  di  base  con  l'ambiente  e  per  acquisire  un  controllo  sui gradi  di  libertà,  sia  intrinsechi  che  sazio  Natalie,  per  realizzare  il  compito.  E  possibile  ottenere  il controllo  "congelando"  soluzioni  che  possono  facilitare  il  raggiungimento  dell'obiettivo,  oppure aumentando  la  variabilità  del  sistema  ambiente-esecutore  per  trovare  una  soluzione  che  consenta di  realizzare  il  lavoro.  Non  sorprende  che  persone  diverse  e  possono  stabilizzare  in  modo  rigido soluzioni  diverse  (vale  a  dire  acquisire  modelli  di  movimento  o  usare  variabili  informative),  per conseguire  il  medesimo  obiettivo.  In  questa  fase  è  possibile  accoppiare  il  movimento  una determinata  fonte  di  informazioni  che  funziona,  ma  ciò  non  significa  che  indica  chiaramente  la proprietà  dell'ambiente  che  li  esecutore  intendeva  percepire,  vale  a  dire  che  può  trattarsi  di  una variabile  non  specificante.  Il  termine  "Variabile  specificante",  si  usa  solo  per  una  variabile  che specifica  la  proprietà,  (vale  a  dire  la  variabile  informativa)  che  il  soggetto  intende  percepire  (ad esempio  il  fuoco  di  espansione  della  palla  sulla  retina  di  un  esecutore),  mentre  il  termine  "variabile non  specificanti",  indica  una  variabile  che  non  specifica  la  proprietà  che  il  soggetto  intende percepire  (ad  esempio  un  giocatore  che  ricerca  di  stabilire  la  traiettoria  di  una  palla  dai  movimenti ingannevole  di  un  avversario  che  la  colpisce),  senza  tener  conto  del  fatto  che  una  cosiddetta variabile  non  specificanti  e  potrebbe  indicare  chiaramente  altre  proprietà.  L'aumento  della variabilità  del  sistema  ambiente-esecutore  da  parte  degli  esecutori  si  deve  alla  difficoltà  nel distinguere  quali  proprietà  dell'ambiente  costituiscono  informazioni  e  quali  no.  L'esplorazione  degli elementi  disponibili  in  una  situazione  per  stazionare  può  rilevare  quali  proprietà  ambientali  sono informative  in  relazione  ad  una  determinata  intenzione.  È  importante  sottolineare  che  la  comparsa del  controllo  su  numerosi  gradi  di  libertà  caratterizza  la  prima  fase  attraverso  l'esplorazione  del rapporto  tra  movimenti  e  informazione.  I  gradi  di  libertà  che  necessario  limitare  sono  molto  più numerosi  rispetto  a  quelli  necessari  per  controllare  il  sistema  esecutore-ambiente  per  raggiungere l'obiettivo  del  compito.

Individuare  soluzioni  e  renderle  stabili 

Nel  corso  della  fase  successiva,  l'esecutore  utilizza  queste  soluzioni  esplorative,  cercando  di riprodurle  durante  l'esecuzione  del  compito.  Con  l'irriducibile  variabilità  delle  condizioni  iniziali  per l'esecuzione  del  compito,  questi  accoppiamenti  movimento-informazioni  iniziano  a  diventare  più regolari.  Un  modo  per  stabilizzare  una  soluzione  di  movimento  consiste  nello  "scongelare"  la limitazione  dei  gradi  di  libertà  che,  in  precedenza,  era  stata  esagerata.  Ciò  significa  che  vengono identificati  i  gradi  di  libertà  più  importanti  per  realizzare  l'obiettivo  del  compito  e  che  sono  anche individuate  le  condizioni  quando  una  variabile  informativa  e  utile,  intervenendo  sulle  stesse. Pertanto,  si  iniziano  a  individuare  nuove  possibilità  di  azione  (ad  esempio  quando  una  variabile informativa  non  è  utile).  Questo,  ad  esempio,  può  verificarsi  nello  sport  quando  un  allievo  di  calcio scopre  del  feedback  propriocettiva  o  che  non  è  utile  in  rigidità  dei  muscoli  degli  arti  inferiori  per ricevere  un  passaggio,  mentre  può  risultare  utile  quando  si  realizza  un  passaggio  uno-due  ad  un compagno  di  squadra.  Durante  questa  fase,  la  stessa  intenzione  potrebbe  portare  alla  scoperta  di altre  variabili.  Al  processo  in  base  al  quale  si  presta  attenzione  a  variabili  più  importanti  si  fa riferimento  a  come  educazione  dell'attenzione  o  sincronizzazione  percettiva.  Pertanto,  anche  se un'intenzione  non  cambia  con  l'esperienza,  i  soggetti  prestano  attenzione  a  variabili  più  utili.  La sintonizzazione  percettiva  rappresenta  il  processo  per  apprendere  a  quali  fonti  di  informazioni prestare  attenzione,  in  quali  situazioni  e  quando  dare  ascolto  a  queste  variabili.  Con  la  pratica,  di esecutori  confluiscono  da  fonti  di  informazioni  che  possono  essere  solo  in  parte  inutili  in  una determinata  situazione  (vale  a  dire  non  specificanti)  a  fonti  di  informazione  che  sono  più  utili  (ossia specificanti),  in  una  serie  di  circostanze  e  prestazionali.  Ad  esempio,  i  giocatori  imparano  che  più preciso  percepire  la  posizione  nello  spazio  di  una  palla  piuttosto  che  aspettare  che  sia  l'allenatore a  dire  loro  dove  si  trova  la  palla  (quest'ultima  ipotesi  potrebbe  rivelarsi  utile  solo  in  determinate situazioni).  La  stabilizzazione  delle  soluzioni  scoperte,  L'esplorazione  dei  limiti  di  queste  soluzioni e  la  conseguenza  ricerca  di  nuovi  accoppiamenti  informazioni-movimenti  specificanti  sono  tutte caratteristiche  dominanti  di  questa  fase. 

Utilizzazione  dei  gradi  di  libertà 

Le  fonti  di  informazione  specificanti  tendono  essere  utilizzate  con  regolarità  durante  l'esecuzione  di un  compito  e  la  fluidità  di  movimento  (ossia  la  padronanza  di  gradi  di  libertà  motori)  sembra  dovuta all'uso  di  forze  esterne,  in  contrasto  con  la  precedente  opposizione  a  queste  forze  o  la  loro nazione.  L'utilizzazione  di  gradi  di  libertà  motori  e  percettivi  consente  l'adattamento  a  richieste situazionali  e  l'efficacie  raggiungimento  degli  obiettivi.  In  questa  fase,  un  aspetto  importante  è rappresentato  dalla  manifestazione  di  sintonizzazione  a  variabili  temporali  e  spaziali  più  ampie  di maggiore  sensibilità  alle  conseguenze  e  contestuale  delle  proprie  azioni.  Sebbene  nell'azione possa  verificarsi  una  maggiore  variabilità  questa  è  vincolata  e  convergente  alla  realizzazione dell'obiettivo.  Questo  processo,  di  solito,  viene  descritto  nella  letteratura  come  equivalenza motoria,  ma  vorremmo  estendere  questo  concetto  alla  percezione  e  alla  cognizione.  La degenerazione  l'abilità  di  elementi  che  sono  strutturalmente  diversi  di  eseguire  la  stessa  funzione  o di  dare  lo  stesso  prodotto  può  rappresentare  una  concettualizzazione  più  adatta  di  questo processo.  In  questa  fase,  un  processo  importante  è  la  calibrazione  la  graduazione,  del  sistema motorio-percettivo  alle  informazioni.  Le  informazioni  specificanti  possono  vincolare  in  modo  a adeguato  una  percezione  o  un'azione.  Le  dimensioni  del  corpo  la  capacità  di  azione  non  sono  fissi ma  spesso  cambiano  nell'arco  di  periodi  di  tempo  ossia  brevi  che  lunghi.  Esempio,  negli  sport  con racchetta,  strumenti  come  le  racchette  e  modificano  le  dimensioni  effettive  del  corpo  dell'esecutore (estensione).  Le  capacità  di  azione  si  modificano  in  un  arco  di  tempo  breve  per  fattori  come stanchezza  e  infortunio  e  nell'arco  di  periodi  più  lunghi  A  seguito  di  sviluppo  e  allenamento. Quando  si  modificano  le  dimensioni  del  corpo  e  le  capacità  di  azioni,  l'esecuzione  di  azioni  che una  volta  era  possibile  può  diventare  impossibili  (o  viceversa).  Nella  percezione  e  Nell'azione, sono  necessarie  la  calibrazione  lavi  calibrazione  per  definire  e  aggiornare  la  mappatura  tra  le  unità in  cui  le  proprietà  rilevanti  del  mondo  sono  percepite  e  le  unità  in  cui  l'azione  viene  eseguita.  In pratica,  la  calibrazione  consente  agli  esecutori  di  percepire  in  modo  in  unità  intrinseche  anche  a seguito  di  modifiche  che  interessano  le  dimensioni  del  corpo  e  le  capacità  di  azione.  Una calibrazione  di  successo  produce  giudizi  che  sono  dimensionati  in  modo  adeguato  alla  proprietà  da percepire,  indipendentemente  dalla  variabile  informativo  utilizzata  per  la  percezione.  Per  un esecutore  che  presenti  una  calibrazione  corretta,  le  affordance  (Le  'affordance'  sono  le  qualità  di un  oggetto  che  ci  permettono  di  interagire  con  esso),  dimensionate  sul  corpo  e  sulla  azione possono  essere  percepite  in  modo  affidabile  semplicemente  scegliendo  le  fonti  di  informazioni opportune.  Calibrazione  avvenga  abbastanza  rapidamente,  è  probabile  che  l'esperienza  continua ad  apportare  miglioramenti  nella  calibrazione.  È  importante  sottolineare  che  lo  sviluppo  dell'azione tattica  non  è  un  processo  normativo  omogeneo  ed  è  previsto  che  si  verificano  manifestazioni soggettive.  Inoltre,  deve  tenere  presente  che  i  processi  con  me  le  educazione  dell'intenzione,  la sintonizzazione  e  la  calibrazione  possono  verificarsi  in  tutte  e  tre  le  fasi.

Effetti  sull'allenamento 

In  base  all'approccio  della  dinamica  ecologica,  non  sembra  avere  molto  senso  spiegare  i principianti  in  che  modo  gli  esperti  prendono  le  decisioni  devo  chiedere  loro  di  ripensar  o  di  agire come  gli  esperti.  L'allenamento  dell'azione  tattica  dovrebbe  piuttosto  fondarsi  sull'organizzazione  di condizioni  di  allenamento  che  promuovono  la  posizione  di  competenza,  anche  nei  soggetti  non esperti.  Senza  scivolare  nella  pre-definizione  della  natura  e  della  competenza,  condividiamo  il punto  di  vista  di  Klein(1997)  che  siano  soluzioni  migliori  insegnare  agli  esecutori  ad  apprendere come  esperti  e  acquisire  competenze  in  modo  autonomo  durante  le  sessioni  di  allenamento  o  in gara.  La  sfida  per  l'allenatore  e  l'organizzazione  fondata  sui  principi  della  sessione  di  allenamento compreso  l'intervento  sulla  esecutore  per  incoraggiare  l'azione  tecnico-tattica.  Tutta  via,  non  esiste un  "organizzazione  ottimale"  generale,  dal  momento  Che  non  esiste  una  risposta  comune  per  tutti gli  allenamenti.  Organizzare  pratiche  di  allenamento  utili  (vale  a  dire  sviluppare  la  competenza  del processo  decisionale)  e  importante  per  migliorare  la  prestazione  di  un  certo  atleta,  o  di  gruppi  di atleti,  in  un  determinato  contesto  durante  l'apprendimento  di  un  determinato  compito.  In quest'ottica,  il  compito  dell'allenatore  consiste  nelle  denti  ficcare: Il  livello  di  competenza  dell'esecutore  sul  compito, Le  funzioni  (obiettivi)  da  formare, I  vincoli  primari  (di  organismo,  compito  e  ambiente), Da  gestire  o  di  cui  tenere  conto  durante  la  pratica.  Il  passo  successivo  per  l'allenatore  consiste nella  definizione  di  un  piano  su  cosa  fare,  quando  e  come  farlo,  così  organizzare  le  sessioni  di allenamento  compresi  di  interventi  con  l'esecutore.  Riteniamo  possibile  l'adozione  di  un  approccio guidato  delle  limitazioni  se  si  desidera  sviluppare  l'azione  tecnico-tattica  nello  sport.  La  gestione delle  limitazioni  adeguate  può  indirizzare  gli  esecutori  a  esplorare  comportamenti  di  movimento  a Dati  che  culminano  in  decisioni  funzionali  adottate  dall'esecutore.  Nel  presentare  assistenza  agli esecutori  per  acquisire  un'azione  tattica  efficace  è  fondamentale  presentare  i  vincoli  rilevanti durante  le  tre  diverse  fasi  di  sviluppo  del  processo  decisionale  come  state  illustrato  nelle  sezioni precedenti.  Comprensibilmente,  gli  allenatori  mostra  un'attenzione  particolare  alla  gestione  delle limitazioni  del  compito,  dal  momento  che  sono  aperti  a  controllo  e  forniscono  un  canale  diretto  per plasmare  la  produzione  di  un  atleta.  In  particolare,  una  delle  sfide  principale  consiste  nel  prendere in  considerazione  la  rappresentatività  funzionale  degli  esercizi  di  allenamento,  ossia  valutare  la corrispondenza  del  comportamento  dell'esecutore  in  allenamento  in  gara.  Regole,  istruzioni attrezzature  possono  essere  gestiti  per  restringere  la  ricerca  all'interno  dello  spazio  di  lavoro percettivo-motoria  in  modo  che  si  possono  adottare  dimensioni  efficace  che  corrispondono  la coordinazione  funzionale  degli  arti  nel  contesto  prestazionali  e  per  realizzare  l'obiettivo  del  compito stabilito.  Naturalmente  le  limitazioni  organismiche  sono  importanti,  ma  dovrebbero  essere  in  stretta relazione  con  le  limitazioni  del  compito.  Pertanto,  è  possibile  intervenire  scegliendo  trasformando aspetti  del  compito  per  facilitare  l'impatto  specifico  esercitato  su  atleta,  ad  esempio,  selezionando atleti  di  altezza  diversa  per  giocare  uno  contro  uno  in  prossimità  del  canestro  nel  basket.  Inoltre può  rivelarsi  opportuno  adottare  alcuni  interventi  (ad  esempio,  induzione  della  stanchezza, modifiche  dello  stato  emotivo),  immediatamente  prima  di  determinati  compiti,  per  agevolare  la capacità  di  gestione  dello  stress  nella  letta.  Sono  disponibili  molte  ricerche  ed  esempidi  questo  tipo di  intervento  nello  sport,  in  particolare  in  relazione  allo  sviluppo  di  capacità  decisionali.  Questi interventi  possono  quasi  certamente  essere  funzionali.  Ma  queste  limitazioni  organismiche  si collegano  solo  in  modo  indiretto  all'azione  tattica  non  sono  coinvolte  direttamente  nel  processo decisorio  durante  l'azione  guidata  in  modo  percettivo.  Per  questi  motivi  riteniamo  che  gli  interventi fuori  dal  compito  rappresentativo  sia  non  meta-cognitivi  o,  in  particolare,  meta-decisionali  e  si rivelano  utili  soprattutto  per  le  esecutori  riflessi  esecutori  che  possiedono  grandi  abilità  verbali. L'allenamento  meta-decisionale  richiede  un  ulteriore  allenamento  per  trasferire  le  abilità  verbali  alle abilità  motorie,  altrimenti  il  miglioramento  delle  prestazioni  si  potrebbe  fondare  su  giudizi  percettivi piuttosto  che  solo  efficacia  presto  attiva.  Infine,  di  solito,  non  è  possibile  manipolare  i  vincoli ambientali  ma  questi  possono  essere  presi  in  considerazione  per  promuovere  un  migliore adattamento  dell'esecutore  nel  contesto  della  gara.  Queste  influenze  possono  essere  sociali  O f isiche  e  possono  essere  a  carattere  internazionale  (ad  esempio,  religione,  cultura)  o  più  locale  (ad esempio,  agli  atteggiamenti  dell'allenatore  per  promuovere  leggo  o  il  con  volgi  mento  del  compito degli  esecutori). 

Conclusione 

Per  concludere,  abbiamo  sostenuto  che  l'allenamento  efficace  dell'azione  tecnico-tattica  non dovrebbe  essere  descritto  con  un'associazione  tra  stimolo  e  risposta  e  limitate  da  regole  o verbalizzazioni  nella  testa  degli  atleti,  ma  piuttosto  da  un'organizzazione  funzionale  dell'attività  di allenamento.  L'attenzione  della  pratica  dello  sport  dovrebbe  essere  rivolta  a  convogliare  le  azioni guidate  dalle  percezioni  in  atleta  verso  le  fonti  di  informazioni  che  indicano  raggiungimento dell'obiettivo.  L'allenamento  mira  a  guidare  l'atleta  verso  lo  Stato  in  cui  impara  con  un  esperto,  in cui  agisce  per  scoprire  informazioni  per  guidare  le  azioni,  ossia  esplorando,  scoprendo  utilizzando gradi  di  libertà  intrinsechi  e  transnazionali  per  realizzare  prestazione  di  successo.